La menzogna e il pregiudizio
di Daniela Santus
Pregiudizi ideologici e falsi storici nella scuola italiana. Un tema di liceo da riscrivere non seguendo la traccia proposta: “Altrimenti, come potrebbe un studente esprimere ‘liberamente’ le sue considerazioni personali?”
Qualche giorno fa mi trovavo sul treno della linea Torino-Ventimiglia. Nel mio stesso vagone viaggiava una scolaresca di scuola primaria che, ad un certo punto, coordinata dalle insegnanti, comincia a cantare la canzone di Ghali, “Casa mia”. Molto intonati, molto carini: “Ma come fate a dire che qui è tutto normale… per tracciare un confine con linee immaginarie… bombardate un ospedale… per un pezzo di terra o per un pezzo di pane… non c’è mai pace”. Mi è salita una tristezza immensa al pensiero che l’indottrinamento cominciasse in così tenera età. Ho ripensato ai campi estivi per gli scolari palestinesi: ai tempi di Arafat prima e ai tempi di Hamas dopo. Come potrà mai esserci pace, quando viene coltivato l’odio? Poi mi sono detta che, probabilmente, l’intento di quelle insegnanti non era quello della facile propaganda, ma semplicemente quello di insegnare ai bambini e alle bambine un motivetto orecchiabile. E infatti, subito dopo, hanno cominciato a cantare “Tuta Gold”, di Mahmood. Sollievo.
Due giorni dopo stavo viaggiando in direzione La Spezia. A Genova sale un folto gruppo di adolescenti che commenta i tre temi assegnati per la verifica d’italiano. Resto basita, penso di aver capito male e chiedo se, gentilmente, potevano ripetermi i titoli. Uno di questi era: “Abbiamo parlato in classe della guerra o per meglio dire, strage che da 70 anni si sta compiendo nella Striscia di Gaza, con gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione innocente. Cosa ne pensi? Com’è iniziata questa sporca e tremenda guerra? Cosa si può fare per farla cessare definitivamente? Molti tuoi coetanei sono scesi in piazza con manifestazioni, come a Pisa, venendo ignobilmente pestati dalla polizia. Esprimi tutte le tue considerazioni personali”.
Sgomento. Caro prof., penso, come potrebbe uno studente – data la traccia che hai fornito – esprimere “liberamente” le sue considerazioni personali? Un ragazzo o una ragazza di 15-16 anni, come sono i tuoi allievi, con quale forza potrebbe reagire alle parole di un docente che alla fine avrà in mano la sua valutazione? E allora quel tema vorrei provare a svolgerlo io, da pari, esprimendo quelle considerazioni che i tuoi allievi non potrebbero mai esprimerti. Tralascerò il giudizio sull’uso approssimativo della punteggiatura, però – permettimi – “scendere in piazza CON manifestazioni” non è proprio un’espressione forbita.
Svolgimento:
“La traccia fornita ci induce a riflettere sulla situazione israelo-palestinese a partire dal 1954. Si parla infatti di eventi che perdurano da 70 anni. Non so per quale motivo sia stata scelta proprio quella specifica data, se non – forse – per evitare di parlare del fatto che una suddivisione della Palestina (quella “disegnata” dagli inglesi durante il Mandato britannico) in due possibili stati già era avvenuta nel 1921, con la nascita della Transgiordania a est del fiume Giordano, ma mai era stata portata a termine a causa delle varie minacce e pressioni arabe che fecero dimenticare la Dichiarazione Balfour e la conseguente nascita del focolare nazionale ebraico.
O forse si è scelto di trattare gli eventi a partire dal 1954 per evitare di riflettere proprio su ciò che è accaduto nel corso delle rivolte arabe del 1936 e del 1939, capeggiate da Amin al-Husayni. Se la riflessione fosse partita da quelle date, avremmo dovuto ricordare la costituzione delle SS islamiche che, seppur anteriori alla nascita dello Stato d’Israele, tanto avrebbero da insegnare circa le stragi messe in atto contro una popolazione innocente. Come dimenticare il fatto che, il 28 novembre 1941, Hitler aveva incontrato Amin al-Husayni – Gran Muftì di Gerusalemme (massima autorità islamica) – il quale, il 27 ottobre, era già stato accolto da Benito Mussolini e aveva posto le basi per una solida amicizia tra i popoli arabi e gli Stati dell’Asse! Mussolini aveva infatti promesso ad al-Husayni la creazione di uno stato fascista nella Grande Palestina (che includeva Iraq, Siria e Transgiordania oltre ai territori dell’attuale Israele). Una Palestina senza ebrei, sottolineando che, se gli ebrei avessero voluto il proprio stato, avrebbero dovuto spostare Tel Aviv in America. Ebbene sì, Tel Aviv non era sconosciuta a Mussolini, che ben sapeva della sua fondazione nel 1909 sulla costa mediterranea. Per Mussolini, non c’era posto in Europa per gli ebrei e nemmeno in Terra d’Israele, ma sarà l’incontro con Hitler a suggellare la promessa, tanto che Al-Husayni stabilisce il suo quartier generale a Berlino e da lì coordina le azioni militari della legione araba, giungendo sino alla fondazione delle SS islamiche. Davvero una sporca guerra. `
Altrettanto sporca e tremenda è stata quella scatenata dalla Lega araba, otto ore dopo la dichiarazione d’indipendenza d’Israele il 14 maggio 1948. In quell’occasione, mentre i leader ebrei avevano accettato un’ulteriore spartizione territoriale, tra ebrei e arabi, di ciò che era rimasto della Palestina mandataria, accogliendo la risoluzione 181 del 29 novembre 1947, gli eserciti di Siria, Libano, Transgiordania, Iraq ed Egitto, scatenano l’attacco – convinti di avere la meglio contro un esercito di sopravvissuti ai campi di sterminio – nel tentativo di “ricacciare gli ebrei in mare”. Verrà chiamata guerra d’indipendenza, o anche prima guerra arabo-israeliana: di fatto sancirà l’abolizione del piano di spartizione e la nascita di nuovi confini. Nonostante la vittoria israeliana, l’Egitto conquista e occupa quella porzione di territorio che verrà successivamente chiamata Striscia di Gaza e la mantiene sotto il suo controllo fino al 1967, mentre la Giordania conquista, occupa e annette la Cisgiordania, ovvero le regioni di Giudea e Samaria, oltre che la parte orientale di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia e il quartiere ebraico che, da quel momento, diventano luoghi inaccessibili agli ebrei. Un muro di divisione viene eretto in città dai giordani per impedire agli ebrei l’accesso al Kotel (muro del pianto), al cimitero ebraico, all’Università ebraica e alle case in cui risiedevano prima della conquista giordana. Anche in questo caso la situazione permane tale sino al 1967. In questi anni né Egitto né Giordania si preoccupano di favorire la nascita dello stato di Palestina nei territori conquistati. Forse è su questi aspetti che, pensando a cosa accadde 70 anni fa, dovremmo riflettere.
(Adolf Hitler con il gran muftì di Gerusalemme)
Di fatto la traccia del tema sembra volerci “suggerire” altro: si parla di una strage che, da settant’anni, l’esercito israeliano sta compiendo nella Striscia di Gaza e ci viene chiesto il nostro parere o meglio il parere dei giovani adolescenti che hanno seguito le lezioni. Purtroppo (o per fortuna) non ho seguito queste lezioni, ma credo di aver già fornito la spiegazione di come sia nato questo conflitto. Tuttavia forse possiamo ancora riflettere sul fatto che, proprio a metà degli anni Cinquanta, il leader egiziano Nasser, cominciò a offrire sostegno alla nascita dei “fedayyin”, gruppi di guerriglieri palestinesi che, dai territori occupati dall’Egitto, attaccavano postazioni militari e civili israeliane. Inoltre non va dimenticato che, sempre Amin al-Husseini, a quell’epoca residente al Cairo, svolgeva funzione di stratega e consigliere. Certo l’Egitto, come anche gli altri paesi arabi, hanno svolto un ruolo importante per la nascita del conflitto, basti ricordare quando, il 26 luglio 1956, Nasser annunciò l’intenzione di nazionalizzare il Canale di Suez. In compenso nessun passo verso la nascita dello stato palestinese è mai stato compiuto, malgrado gli slogan.
Nel 1959, in Kuwait, nasce al-Fatah, il Movimento di liberazione della Palestina; nel 1961, in Siria, nasce il Fronte di liberazione della Palestina e, nel 1964, in Egitto, nasce l’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Nonostante Israele non avesse ancora “occupato” i territori palestinesi, di fatto questo esercito per la “liberazione della Palestina” aveva già posto le basi per i futuri conflitti. A partire dal 1965 i vari gruppi, emuli dei fedayyin, cominciarono le loro incursioni in territorio israeliano. Pertanto è ovvio che il titolo del tema contenga un errore, soprattutto quando cita l’esercito israeliano come responsabile di 70 anni di attacchi contro la popolazione di Gaza. Se, invece, non si è trattato di una svista, allora è un tentativo – maldestro – di propaganda o di indottrinamento. Non voglio credere a ciò.
Chiedere tuttavia, a giovani adolescenti, di suggerire un modo per porre termine alla situazione di conflitto israelo-palestinese è per certo un’ingenuità: non ci è riuscito nemmeno Bill Clinton. Personalmente mi sentirei di suggerire un gesto di umiltà da parte nostra, che osserviamo da lontano: l’umiltà di non crederci sapienti con la risposta in tasca. Potremmo, ad esempio, cominciare con lo studiare la storia e la geografia da fonti non corrotte ideologicamente e poi, perché no, col fare un viaggio-studio in Israele: sarebbe magnifico poter constatare, con gli studenti e le studentesse, che in Israele – nonostante il 7 ottobre sia stata messa in atto, dai terroristi di Hamas, la peggior strage di civili ebrei (e di altre fedi) di sempre – non soltanto non esiste apartheid, ma esiste una situazione di pacifica convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei. Tuttavia per liberare davvero i palestinesi della Striscia di Gaza dal terrore di Hamas – che ruba loro i viveri, che li usa come scudi umani (non permettendo neanche a donne e bimbi di trovare riparo nei tunnel) per massimizzare le perdite, che usa spregio nei confronti della vita degli ostaggi come di quella dei civili palestinesi, che continua a rifiutare le proposte di cessate il fuoco – non bastano le frasi di un tema: serve la volontà politica di disarmare i paesi che foraggiano il terrore, Iran e Russia. Probabilmente serve il coraggio di una scelta: o con il terrore (con Putin, con Khamenei, con Sinwar) o con la pace. Una pace che per certo non si otterrà “scendendo in piazza” a manifestare insieme a chi, già in passato, si è macchiato di violenza, come Jead Othman che, in un agguato nel 1984, aveva ucciso l’iraniana Noushine Montasseri, per la sola colpa di essere amica del viceconsole degli Emirati Arabi. Pur non essendo più studente, Ohtman era tra i manifestanti durante gli scontri alla Sapienza. Perché?
In ultimo, dal momento che il tema chiede esplicitamente le proprie considerazioni personali, mi sento di affermare, caro collega, che sei partito da una data sbagliata, da un assunto sbagliato e da una riflessione finale inconsistente. La Polizia italiana non si diverte a “pestare ignobilmente” studenti e studentesse, ma la sua azione è volta a garantire che la violenza – espressa in simili manifestazioni, purtroppo, da infiltrazioni di elementi che nulla hanno a che fare col mondo della scuola – non diventi il denominatore comune dei tentativi di pochi di impedire lo svolgimento di lezioni, di conferenze, di riunioni accademiche. Piuttosto che incutere timori nei riguardi della Polizia, forse sarebbe più corretto spiegare che la cultura non si boicotta e che le proteste, persino quelle più giuste, andrebbero portate avanti secondo gli insegnamenti di Gandhi e non attraverso il rogo dei libri, il lancio di fumogeni o le aggressioni violente nei confronti di chi la pensa diversamente. Il ruolo di noi docenti, sono certa che anche tu sia d’accordo, non dovrebbe mai essere quello dell’indottrinamento, tanto meno quello della propaganda. Siamo pedagogisti, dovremmo essere in grado di accompagnare i giovani discenti nella formazione delle loro personali opinioni, instillando curiosità e non imponendo verità, nella consapevolezza che è di vitale importanza – non soltanto per la comprensione del conflitto israelo-palestinese – essere in grado di discernere tra fake news e notizie verificabili da fonti indipendenti”.
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