In America i giovani pro-Hamas non sanno situare Israele sull’atlante

di Federico Rampini*

(Federico Rampini)

Manifestano nelle nostre piazze e università sventolando bandiere palestinesi. Gridano lo slogan caro ai terroristi islamici di Hamas, che evoca l’espulsione o lo sterminio degli ebrei in Israele: «Dal fiume al mare». Ma se vengono interrogati su quale sia il fiume e quale il mare a cui allude quel grido di battaglia, tanti di quei giovani militanti rivelano una profonda ignoranza su tutto: geografia, storia, demografia del Medio Oriente.

Lo ha dimostrato un esperimento sul campo realizzato da un docente di uno degli atenei più politicizzati d’America, la University of California Berkeley, culla storica di grandi contestazioni giovanili fin dal Free Speech Movement del 1964.

È inevitabile ricordare una battuta che circolava due decenni fa negli Stati Uniti, all’epoca degli interventi militari americani in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003), battuta che poi fu resa celebre dal documentarista Michael Moore in uno dei suoi film-denuncia: «Gli americani invadono dei paesi che la maggioranza di loro non sa neppure situare su una carta geografica». Il bersaglio di quel sarcasmo era l’America di George W. Bush e dei neoconservatori, i falchi repubblicani che volevano rifare il Medio Oriente a immagine e somiglianza dell’Occidente. Ora scopriamo che la stessa ironia si applica all’altra America, quella della sinistra radicale che domina nei campus e nei cortei.

(il professor Ron Hassner)

L’esperimento
L’esperimento è stato condotto da Ron Hassner, professore di Scienze politiche a Berkeley. Ha ingaggiato una società specializzata nelle indagini demoscopiche, per realizzare una serie di sondaggi su un campione di 250 studenti, non solo di Berkeley bensì rappresentativi di diverse realtà universitarie americane. I risultati hanno quindi una valenza nazionale e trasversale, non riflettono la situazione di un solo ateneo. Le domande partivano proprio da quello slogan apparso continuamente su striscioni e manifesti dal 7 ottobre in poi, e gridato in tanti cortei dai manifestanti filo-palestinesi: «Dal fiume al mare». Il campione di studenti selezionato era composto per il 53% da giovani che appoggiano quello slogan e per il 33% da chi lo sostiene addirittura «con entusiasmo». Quella frase fu resa popolare già negli anni Sessanta dall’Organizzazione per la liberazione palestinese (Olp) ai tempi in cui la dirigeva Yasser Arafat. Invoca la creazione di uno Stato della Palestina dal fiume Giordano al Mare Mediterraneo. Quindi la distruzione dello Stato d’Israele, la deportazione (o l’eliminazione) degli ebrei che vi abitano. Non una soluzione basata su due Stati. Oggi far proprio quello slogan significa schierarsi con la fazione più estremista dei palestinesi, sostenere obiettivi e metodi di Hamas. Un passo che molti giovani americani non esitano a compiere.

(Yasser Arafat con Khomeini)

La prima domanda del sondaggio sul campione di studenti riguardava proprio l’interpretazione letterale di quello slogan. Di quale fiume e di quale mare si tratta? Meno della metà degli intervistati ha saputo nominare il fiume Giordano e il Mediterraneo. Una maggioranza ha dato risposte variegate che includevano perfino l’Atlantico e il Mar dei Caraibi. In certi casi restavano un po’ più vicine, ma erano comunque sbagliate: Nilo, Eufrate, Mar Morto.

Tra le altre manifestazioni d’ignoranza emerse dal questionario: un decimo degli studenti crede che Arafat fosse presidente d’Israele; un quarto nega che siano mai esistiti gli accordi pace di Oslo (firmati nel 1993 e nel 1995 tra Israele e l’Olp di Arafat). Il commento finale del professor Hassner di fronte a questi dati: «Non bisogna vergognarsi di essere ignoranti, a meno che si urli in favore dello sterminio di milioni di persone».

La possibilità di cambiare idea
L’esperimento però non si è fermato a questa constatazione sull’analfabetismo geografico, storico e geopolitico dei giovani (pur iscritti a facoltà di élite, costosissime). C’è un finale che può rincuorare. L’indagine demoscopica ha avuto una seconda fase. 80 di quegli studenti sono stati messi di fronte – sorpresa! – a una vera mappa del Medio Oriente, nonché alle informazioni essenziali sulla situazione locale. Scoprendo che lo slogan «dal fiume al mare» auspica la sottomissione, deportazione o eliminazione di sette milioni di ebrei e due milioni di arabi-israeliani, il 68% degli studenti hanno modificato il proprio parere, rinunciando a sostenere quello slogan. «Quegli studenti – osserva Hassner – non avevano mai visto una carta del Medio Oriente e ignoravano le basi elementari di geografia, storia, demografia». Il docente nne trae una lezione ottimista: «Coloro che sperano di incoraggiare l’estremismo si fondano sull’ignoranza politica della loro audience. È ora che i bravi insegnanti scendano in campo, combattendo i pregiudizi con l’istruzione».

Tuttavia un altro dato contrasta col suo ottimismo. All’interno del campione di studenti intervistati, quelli che si auto-definiscono «progressisti» o della sinistra radicale, sono i meno disposti a cambiare opinione. In particolare, quando gli è stato obiettato che lo slogan «dal fiume al mare» viene percepito come aggressivo, minaccioso e razzista dai loro coetanei e compagni di studi ebrei, non hanno ritenuto di doverlo abbandonare.

In un contesto universitario che da molti anni è ipersensibile alle accuse di razzismo, questo è allarmante. Si è parlato di un ritorno di antisemitismo: fenomeno reale e grave. Questo si inserisce in un clima ideologico più generale. I giovani dell’estrema sinistra che dominano in molti campus hanno un pregiudizio anti-occidentale e anti-bianco. Israele e gli ebrei pagano un prezzo anche per il fatto di essere associati all’Occidente e a tutto il male che gli si attribuisce.

(Pubblicato sul Corriere della Sera, 8/12/2023)

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