Intervista di Francesca Borri su Repubblica ad Abdulkhaleq Abdulla
“In confronto al 1948, il numero dei morti è il doppio, e quello degli sfollati il triplo. Ma questa guerra, no, non trasformerà il Medio Oriente. Semplicemente perché il mondo arabo non cambierà, e Israele non sparirà. A sparire sarà solo Hamas”.
Non è l’opinione di un generale dell’IDF, ma di Abdulkhaleq Abdulla, il più noto analista del Golfo. Politologo dell’università di Abu Dhabi, ora a Harvard, è tra i consiglieri più ascoltati di Mohamed bin Zayed, il principe degli Emirati Arabi che nel 2020 ha firmato gli Accordi di Abramo, normalizzando i rapporti con Israele. E che guida un paese che è ogni giorno di più una calamita per investimenti e talenti di ogni tipo. Nel 1971, l’anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, gli Emirati Arabi avevano un PIL di 1,4 miliardi di dollari. Oggi, è 527,8 miliardi: 377 volte. “E il tentativo di sabotaggio di Hamas fallirà”, dice. “Questo Gulf Moment, questo momento, cioè, in cui i 6 paesi del Golfo contano più degli altri 16 paesi arabi, e indicano la rotta, non è destinato a finire”.
- Perché sostiene che questa guerra non trasformerà il Medio Oriente?
Perché una cosa sono i numeri. I morti, i danni. Un’altra le dinamiche di lungo periodo. Su cui la guerra non ha inciso. Nel 1948, il risultato è stato la fondazione di Israele, e l’inizio di un conflitto che ha stravolto tutto. Ora, invece, si chiuderà l’era Netanyahu, ma Israele resterà il paese di prima. Un paese in crisi, con un rapporto irrisolto con la sua identità ebraica. Non imparerà niente dal 7 Ottobre. Esattamente come i palestinesi. Che resteranno divisi. Mentre i governi arabi resteranno al potere, e resteranno sulla stessa traiettoria. Non a caso, si sono avute più manifestazioni in Europa che qui. La nostra apertura a Israele non è in discussione.
- Però, l’Assemblea Generale dell’ONU si è appena espressa a larga maggioranza per l’ammissione della Palestina.
Ma è il Consiglio di Sicurezza a decidere. E lì si avrà il veto USA.
- Non pensa si avrà uno stato di Palestina?
A breve? No.
Ma perché nessuno è intervenuto? I palestinesi erano certi che i paesi arabi si sarebbero uniti alla guerra. E forse, è anche quello su cui puntava Yahya Sinwar.
E allora è proprio fuori di testa. In un conflitto come questo, di questa complessità, e davanti a un attacco come quello del 7 Ottobre, nessuno viene a salvarti. Chi ha salvato il Ruanda? O Srebrenica? In guerra non hai che te stesso. Poi l’Iran magari è più cinico degli altri, fa il suo gioco e basta: ma nessuno si infila in un ginepraio così. Non ti aiuta manco Dio.
- Qual è l’obiettivo dell’Iran?
Si parla tanto dell’Iran, come se fosse il più forte degli attori. Ma nonostante i vari Houti e Hezbollah, le sue varie milizie sparse per il Medio Oriente, la verità è che l’Iran è un regime agli sgoccioli, con gli iraniani tutti in piazza a tentare di abbatterlo. Specula sulla miseria e la disperazione per conquistarsi quella legittimità e popolarità che non gli arriva dall’interno. Dal modello di governo e società che propone. E mai gli arriverà.
- L’altro paese di cui si parla tanto è l’Arabia Saudita.
Che è tutta contro Hamas. Perché il 7 Ottobre è stato un attacco a Riad, oltre che a Israele. L’Arabia Saudita era impegnata non solo nell’allargamento degli Accordi di Abramo, ma nella de-escalation dei tanti focolai di tensione degli ultimi anni: e all’improvviso, senza dire niente a nessuno, Hamas ha sfasciato tutto. Senza dire niente neppure ai palestinesi. E ora pretende che sia l’Arabia Saudita a saldare il conto della ricostruzione.
- Sarà saldato dal principe bin Zayed?
No. Non pagheremo per i crimini di Israele. Pagheremo per fronteggiare l’emergenza, e in questo saremo protagonisti. Saremo al fianco dei palestinesi. Ma pagheremo la ricostruzione solo se si avrà lo stato di Palestina, e una Road Map per venire fuori da tutto questo.
- E in cambio, Israele avrà la normalizzazione con l’Arabia Saudita?
Certo. Riad è determinata, e il testo dell’intesa ormai è pronto. Mancano alcuni dettagli, ma riguardano gli Stati Uniti. Non Israele. Perché non è un segreto: sono gli Stati Uniti ad avere quello che più interessa all’Arabia Saudita.
- Quattro anni dopo, come valuta gli Accordi di Abramo?
Ero tra i perplessi. Ma onestamente, l’elenco dei benefici riempirebbe tutta La Repubblica. Intanto, ora a Washington è un’altra cosa. Ora, gli Stati Uniti sono nostri alleati. Poi, anche se vorremmo non fosse così, il Medio Oriente è pericoloso: e la condivisione dell’intelligence è essenziale. Ma c’è molto più di questo. Che si tratti di economia, di tecnologia, di ricerca, gli israeliani sono ai vertici. Hanno idee, competenze, esperienza, capitali, hanno entusiasmo e energia: ed è esattamente quello che vogliamo.
- OK. Questo è il capitolo affari e sicurezza. La politica, invece?
Eravamo tutti sfiniti dalla Primavera Araba, e dai jihadisti. Mentre Hamas architettava il 7 Ottobre, qui, e in tutto il Medio Oriente, si ricucivano i rapporti. Si affrontavano le differenze sulla Siria, sulla Libia. Sullo Yemen. Con la Turchia e l’Iran. La normalizzazione con Israele è parte di una scelta più ampia, e irreversibile: la scelta di non vivere più in guerra.
- E a Gaza? Cosa blocca il cessate il fuoco?
Sinwar e Netanyahu. Tutto il resto è secondario. E superabile. Ma Netanyahu sa che perderà il potere, ed è pronto a tutto. Mentre Sinwar probabilmente non ha neppure cognizione di che ha combinato. Di cosa c’è, sopra i tunnel. Anzi. Di cosa non c’è, ormai.
- Per molti è un eroe.
Passerà alla storia come quello che per vendicare la Nakbah, ha finito per causarne un’altra.
Interessante punto di vista.
Ci auguriamo tutti quanto dice in questa intervista Abdulkhaleq Abdullah.
ottimo contributo a un possibile chiarimento della situazione