Oltre mezz’ora di preghiera islamica negli spazi occupati dell’università di Torino, di fatto trasformata in una moschea – anzi peggio: in un’arena di odio contro Israele – dove si è parlato anche di forme di “jihad”. Il caso risale a venerdì, nel giorno in cui l’ateneo ha comunicato “con soddisfazione” la fine dell’occupazione del rettorato da parte degli studenti pro Palestina. L’episodio è stato anche al centro di una telefonata tra il ministro dell’Università Anna Maria Bernini e il rettore Stefano Geuna, i quali hanno “condiviso un sentimento di piena condanna dell’accaduto”.
Dell’atrio dell’ateneo trasformato in moschea esiste anche un video che su youtube si trova con il titolo «Sermone del venerdì “Cosa ci insegna la Palestina?”». È pubblicato nel canale di Brahim Baya, fra i responsabili della moschea Taiba di via Chivasso e membro del coordinamento Torino per Gaza, che ha personalmente officiato alternando arabo e italiano. Alla preghiera, secondo quanto emerso, hanno preso parte studenti e studentesse di origine pakistana, palestinese, turca ed egiziana. Durante la preghiera ha preso anche la parola un ragazzo che ha parlato in inglese. “È stato recitato un sermone in cui si inneggia alla Jihad anche in Italia”, è stata – secondo quanto riporta il Corriere della Sera – la denuncia di alcuni professori che hanno allertato rettore e ministro.
La spiegazione dell’imam
Brahim Baya, presentato dal Corriere della sera come “protagonista anche delle tante iniziative organizzate per promuovere il dialogo e la pace nei tragici anni degli attacchi terroristici dell’Isis”, ha spiegato che “per jihad bisogna intendere l’impegno che ogni buon musulmano deve sforzarsi di perseguire per essere un buon essere umano attento ai bisogni delle persone vicine e lontane. Nel mio sermone, ho inviato i fedeli a comportarsi nel migliore dei modi. Venerdì – ha anticipato – vogliamo organizzare la preghiera al Politecnico”.
La denuncia della docente: “Sermone contro Israele”
In una lettera aperta pubblicata dal Foglio, però, la professoressa Daniela Santus, che si occupa di geografia della religione, appare tutt’altro che rassicurata da quanto accaduto nell’androne dell’università di Torino. Rivolgendosi a Brahim Baya come “imam”, Santus sottolinea che “si è parlato di jihad compiuto da donne, uomini e bambini, ognuno secondo le sue capacità, si è parlato di lotta di liberazione che sarebbe cominciata dal primo momento in cui i “sionisti” hanno calpestato quella terra benedetta: prima ancora della nakba!”.
I passaggi su “jihad” e “lotta con le mani”
“Mi occupo di geografia della religione e ho grande rispetto delle tradizioni religiose, per cui ho ascoltato con attenzione il suo sermone. Tuttavia mi hanno colpito alcuni passaggi, soprattutto quelli in cui lei chiede un jihad per riparare le ingiustizie usando “le mani” per lottare in favore dei palestinesi oppressi”, prosegue la docente, spiegando che, benché Baya non nomini mai Israele, tutto induce a pensare che quella “lotta con le mani” debba essere intesa “contro gli ebrei di Israele in quella terra che definite occupata”.
“Ora, dal momento che ho troppo rispetto per chi crede, indipendentemente dalla fede, penso di potermi rivolgere a Lei affinché non si presti all’uso della strumentalizzazione della “Palestina occupata” per accrescere l’odio. Soprattutto penso sia poco corretto adoperare gli spazi universitari per indurre alla violenza”, scrive ancora la docente, esortando in fine a “lasciare la ‘lotta con le mani’ a chi non sa adoperare il cuore”.
Oggi ho sentito sul canale RAI che trasmette dal Parlamento che alla “preghiera” gli studenti sono stati divisi fra maschi e femmine, con i due gruppi a rigorosa distanza di sicurezza l’uno dall’altro. Siamo alla frutta. Se negli Anni ’70 avessero preteso una cosa simile, ci sarebbe stata un’insurrezione.