di Francesco Speroni*
Mi considero amico, perché conosco Israele molto bene. Ci ho vissuto quasi cinque anni, durante i quali ho lavorato come cameraman e editor freelance per varie televisioni (Rai, Mediaset, SkyNews24, Aptn, Rede Globo do Brasil e altre). Sono arrivato lì nel giugno del 2005 per seguire il drammatico sgombero di Gaza voluto dall’allora primo ministro Arik Sharon. Ho seguito, in ordine sparso, il rapimento di Gilad Shalit e la Seconda guerra del Libano, poi la vittoria elettorale di Hamas e i due ricoveri in ospedale dello stesso Sharon, dal secondo dei quali non si riprese più. Nel frattempo ho avuto modo di incontrare, tra gli altri, Abu Mazen a Ramallah e Isma’il Haniyeh a Gaza.
Ci sono rimasto per quasi tutto il 2009. L’operazione Piombo Fuso, è stata l’ultima importante azione militare della quale sono stato testimone diretto.
Per tutto quel tempo ho abitato a Gerusalemme, prima nel quartiere di Davidka, poi in Agrippa street, vicino al bellissimo Mahane Yehuda, ed ho potuto conoscere bene sia gli israeliani che i palestinesi.
La sensazione ed il ricordo per me più forte è che, nell’istante che ho messo piede in Israele, mi sono sentito a casa. Gerusalemme è diventata immediatamente casa mia: non è mai successo, nemmeno una volta, che qualcosa o qualcuno mi abbia fatto sentire uno straniero indesiderato o un estraneo.
Il calore, la generosità e la schiettezza degli israeliani sono qualcosa che ti conquista subito, mentre la società israeliana è davvero una delle forme più evolute di multiculturalismo, integrazione ed emancipazione.
Sono stati tra i cinque anni più belli della mia vita.
Oggi, sappiamo bene che affermare queste cose è rischioso, perché c’è subito qualcuno pronto a dirti: “Ma come puoi stare dalla parte di Israele? Gli ebrei sono degli assassini di bambini! L’esercito israeliano sta sterminando la popolazione innocente di Gaza e tu stai con loro?!”.
Sì, io sto con loro. Perché io guardo i fatti e non mi lascio incantare dalla pur martellante campagna mediatica di disinformazione antisraeliana.
È semmai la causa palestinese a non essere più credibile né difendibile: abbiamo già dimenticato quante occasioni l’ex leader dell’OLP Yassir Arafat ebbe per normalizzare la situazione e dare una speranza al suo popolo, occasioni alle quali Arafat rispose sempre con un “no!”. Abbiamo già dimenticato che nel 2005 i palestinesi hanno avuto indietro tutta Gaza? Potevano gettare le basi per costruire il famoso Stato palestinese di cui tutti si riempiono la bocca, ma che nessuno vuole davvero, a partire da Hamas. Potevano sfruttare le serre che Sharon gli aveva lasciato intatte e perfettamente funzionanti. Nulla di tutto questo è avvenuto. Hamas ha distrutto le serre, costruito moschee e trasformato l’intera striscia di Gaza in una enorme base militare, un bunker con tunnel e gallerie per lo spostamento di truppe, armi e missili Qassam. Una base militare popolata da civili che, deliberatamente e senza il minimo scrupolo, Hamas usa come scudi umani da offrire al martirio per Allah.
Poi c’è stato il 7 ottobre 2023. Il punto di non ritorno.
Chi ha visto i filmati di ciò che Hamas ha fatto a civili, donne e bambini ebrei sa di cosa sto parlando. Chi quei filmati non li ha ancora visti, li guardi. Li guardi attentamente. Li guardi, prima di parlare di causa palestinese, di due Stati ed altre ipocrisie del genere.
In quei filmati c’è tutta la bestialità del male assoluto. Faccio mie le parole del rabbino Riccardo Di Segni che ha giustamente detto: “Il male assoluto va cancellato”.
Quest’onda terribile di antisemitismo, questi rigurgiti della peggior anima nera d’Europa ai quali stiamo assistendo, non devono e non possono prevalere.
Perché se così fosse, sarebbe la fine della civiltà così come la conosciamo.
Israele, oggi più che mai, è il più prezioso baluardo dell’occidente contro la barbarie.
Israele siamo tutti noi.
Francesco Speroni, nato a Seravezza in Versilia il 1° gennaio 1969.
Oggi si occupa principalmente di organizzazione di concerti di musica classica. Fino a pochi anni fa ha svolto l’attività di cameraman e editor. È stato documentarista d’arte (lavorando per scultori come Francesco Messina, Giuliano Vangi, Kan Yasuda) per poi dedicarsi, a partire dal 2005, alle news, trasferendosi in Israele dove vi rimane quasi cinque anni lavorando soprattutto per Rede Globo.
Dopo questo intenso periodo, si trasferisce prima in Giordania, poi nelle Filippine, dove vi rimane alcuni anni lavorando nella produzione cinematografica.
Una testimonianza appassionata vera e schietta di chi sa perché ha visto e vissuto nei luoghi del conflitto .
Grazie Francesco