Hamas e islamismo radicale.

di Roberto Sinigaglia
Presidente del Centro Internazionale di Studi Italiani (CISI) dell’Università di Genova, già professore ordinario di Storia dell’Europa orientale.

Ringrazio Carlo Panella che, coi suoi lavori, mi permette di inquadrare il violento scontro nel Vicino oriente in un contesto più ampio, in cui trova spazio il forte antisemitismo dell’islamismo radicale. Attingo generosamente al suo ultimo libro, Il libro nero di Hamas. L’antisemitismo islamico e il miraggio dei due Stati, Lindau, 2024 per proporvi queste poche paginette come introduzione al mio saggio Gaza e dintorni. Dipanare le matasse arruffate dalla propaganda, apparso questa primavera sulla rivista  «European Journal of Psychoanalysis».

Al momento ci si muove, a mio avviso, in un abbaglio colossale nella trattazione degli avvenimenti. I due “partiti” che si sono venuti creando – partono entrambe da una premessa sbagliata che poi chiarirò – si schierano, il primo, in un appassionato appoggio ai Palestinesi, se non, addirittura, ad Hamas, insistendo sul presunto genocidio che si starebbe consumando a Gaza. L’altro partito, pur condannando – talvolta, però, in sordina – l’eccidio bestiale del 7 ottobre, effettuato ai danni di civili ebrei inermi, e riconoscendo il diritto di Israele a difendersi, ritiene tuttavia eccessiva, non proporzionale (cosa significa?), la risposta di Israele.  Disgiunge, nel giudizio, i cattivi terroristi di Hamas dai poveri abitanti di Gaza. Presunti innocenti. Un sondaggio condotto da Arab World for Research and Development parla di un appoggio entusiasta del 63,6 % dei cittadini di Gaza all’assalto del 7 ottobre.[1] Come ho tentato di dimostrare, nel saggio sopracitato che seguirà questa breve introduzione, è fondamentale chiarire e dichiarare che l’attacco del 7 ottobre ha rappresentato l’atto iniziale della guerra scatenata da Hamas, che governa Gaza dal 2007, contro Israele. E come in tutte le guerre anche la popolazione civile viene a essere coinvolta. La questione da appurare è se i cittadini di Gaza, caduti negli scontri, abbiano rappresentato un obiettivo mirato dell’esercito israeliano o siano stati vittime accidentali.[2] Infiniti, nel passato, i casi in cui l’attacco armato di un esercito ha avuto come obiettivo primario quello di infierire sulla popolazione per fiaccare la resistenza del nemico. Vedi i bombardamenti sulla Germania (il più devastante quello anglo-americano del febbraio 1945 su Dresda), o quelli americani in Vietnam e soprattutto su Hiroshima e Nagasaki.[3] Per Gaza, al di là delle manifestazioni a livello mondiale pressoché quotidiane per condannare Israele (ma gli ostaggi ce li siamo dimenticati?),[4] qualcuno ha potuto dimostrare che ci siano o ci siano stati attacchi intenzionali contro la popolazione?[5]

L’ostilità araba si mostrò in tutta evidenza quando la Risoluzione dell’ONU del 1947, favorevole alla formazione dei due Stati, fu disattesa da parte degli Stati limitrofi e Israele subì un attacco da parte di cinque eserciti, salvandosi grazie agli armamenti provenienti dalla Cecoslovacchia.[6] Progetto, quello dei due Stati – frutto di un antico accordo tra Feisal (futuro re prima della Siria, poi dell’Iraq) e Weizmann (futuro primo presidente di Israele) – che trovò riconoscimento, almeno per quel che concerne l’esistenza di uno Stato ebraico,  col Mandato per la Palestina, documento assurto agli onori del diritto internazionale col voto della Società delle Nazioni del 24 luglio 1922.[7] Non trovò realizzazione, visto il clima politico tutt’altro che pacifico nell’intermezzo tra le due guerre mondiali. Importante ribadire che tutte le proposte avanzate da Israele dopo il 1948 per risolvere il contenzioso con le popolazioni arabe (negli anni 1967, 2000, 2001 e 2008), sono state rifiutate da parte araba.

Il dibattito attuale parte, come ho già detto, da un abbaglio colossale. Pensare che l’antisemitismo islamico sia sorto soltanto per motivi strumentali e funzionale alla contrapposizione con lo Stato di Israele è profondamente sbagliato. È vero il contrario: il rifiuto totale, radicale, nei confronti di Israele è il frutto di un millenario odio antiebraico frutto di intransigenza religiosa. Intollerabile poi, per molti islamici, che l’ebreo, da sempre maltrattato, umiliato, sottomesso, abbia guadagnato una sua dignità e sia ora in grado di tenere a bada i suoi nemici. Qualificare la lotta di Hamas allo Stato ebraico come guerra di liberazione rappresenta una favola romantica che scalda i cuori dei gruppi studenteschi impegnati in occupazioni di sedi universitarie in USA e in Italia. Ma non solo dei gruppi studenteschi: anche qualche vecchio intellettuale rintanato sta ritrovando spazi per far sentire la propria voce, dimentico dei rigori storici che dovrebbero accompagnare il suo percorso intellettuale. Ma è importante far sapere agli studenti (e pertanto anche a qualche storico) che Yahya Sinwar non è certo Mazzini e che gli arabi non sono diventati antisemiti per reazione all’“affronto” della creazione dello Stato di Israele. Al contrario è proprio il consolidato e atavico antisemitismo la causa vera del rifiuto arabo di accettare nel 1947 la formazione di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Tutto parte da molto lontano, addirittura dalle origini dell’islamismo, dalla Battaglia del Fossato del 627 con la quale Maometto, vinti i Meccani, decide di eliminare la presenza ebraica nella zona, responsabile a suo dire di un’alleanza coi suoi nemici, e ordina pertanto di sgozzare (ma dà una mano pure lui) da 600 a 900 uomini della tribù dei Banu Qurayza presenti a Medina. Nasce allora il racconto metastorico dell’ebreo – altro soggetto  monoteista presente nella medesima area geografica – che complotta contro l’islamismo. Questo odio contro gli ebrei si consolida dopo la morte di Maometto nella stesura della Sunna, il codice islamico che raccoglie presunte affermazioni (Hadīth) ed episodi della vita del Profeta, privi però di riscontri o testimonianze, e quindi totalmente inattendibili sul piano scientifico, ma che si sono cementati nella coscienza del credente. Nel Hadīth leggiamo: «L’ultimo giorno non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani non li uccideranno e fino a quando gli ebrei non si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno “O musulmano, o servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo!”. Ma l’albero di Gharquad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei».[8]

In tutte le predicazioni degli Imam, tese a contrastare le minacce scismatiche – giudicate come minaccia e pericolo sommo per l’unità dell’umma – si fa riferimento a qualche ebreo che le avrebbe fomentate per favorire lotte intestine nel mondo musulmano, perché gli ebrei – nella tradizione islamica – sono la fonte di tutti mali del mondo e sono anche accusati di aver falsificato la Bibbia. Ed è ormai soltanto all’interno del mondo musulmano che si dà credito alla veridicità dei «Protocolli dei savi anziani  di Sion».[9] E coloro, nel mondo islamico, che hanno tentato di opporsi all’antisemitismo, sono stati isolati. Qualcuno addirittura condannato per apostasia e impiccato.[10]

L’ostilità nei confronti dell’ebreo dà vita a una metastoria per cui si giunge addirittura a disconoscere la millenaria presenza ebraica in Palestina, mentre in realtà sono gli arabi ad arrivare nel 637 d.C. con la conquista di Gerusalemme da parte del califfo Omar.[11] Atteggiamento intransigente – un “apriori religioso” – che ha impedito agli arabi di Palestina di sviluppare una cultura capace di dar vita a una progetto “patriottico” concreto, in grado di intercettare e di misurarsi con quanto, in momenti diversi, andavano proponendo, a proposito dei territori occupati da Israele, Begin (1979), Rabin (1993), Barak (2000), Sharon (2005), Olmert (2008). L’insegnamento impartito nelle scuole a Gaza – complice l’Unrwa[12], struttura dell’ONU che ha visto alcuni dei suoi membri appoggiare o forse addirittura partecipare agli eccidi del 7 ottobre – è assai significativo quando magnifica come eroi e martiri quei kamikaze che hanno sacrificato la propria vita disseminando morte tra gli ebrei. Inquietanti i messaggi che alcuni imam lanciano spesso nei sermoni del venerdì, colmi di violenza, che vengono abbondantemente propagati: «La vergogna ricada su colui che non educa i suoi bambini al jihǡd. La benedizione su coluiche indossa una veste di esplosivi egli stesso o i suoi figli e va in mezzo agli ebrei dicendo: Allahu akbar […] Tutte le armi devono essere puntate sugli ebrei, i nemici di Allah, nazione maledetta nel Corano, che Allah descrive come scimmie e maiali adoratori del vitello e degli idoli!».[13]     

Hamas nasce nel 1987: suo battesimo di sangue fu l’attentato su un bus il 16 aprile 1993 a Mehola in Cisgiordania. Si rifà ai Fratelli Musulmani, organizzazione politico-religiosa sorta in Egitto nel 1928 per contrastare la cultura occidentale. Risaputi e vantati i suoi rapporti col nazismo in funzione antiebraica.[14] Dopo la consegna di Gaza all’autorità palestinese, da parte di Israele, Hamas, vincitrice nelle elezioni nel 2006, con un colpo di mano dette vita alla secessione dal resto dei territori palestinesi.[15] Importante sottolineare questo aspetto, che cioè Hamas da allora governa a Gaza.[16] Da ribadire anche che, al di là di quanto una propaganda faziosa è andata affermando da anni, è esistito sì un blocco intorno a Gaza, finalizzato al tentativo di bloccare i lanci di razzi contro Israele (centinaia di migliaia nel corso degli anni). Ma è stato un blocco assai singolare perché Israele fornisce energia elettrica e acqua potabile e perché si è assistito, ad esempio nel 2022, al passaggio di circa 500 tir al giorno per portare cibo, medicinali e anche tutto il materiale utilizzato da Hamas per costruire ben 500 km di tunnel sotterranei dove attualmente si nascondono molti guerriglieri e dove vengono tenuti con ogni probabilità gli ostaggi. Per non parlare del transito quotidiano di lavoratori arabi che si recano a lavorare in Israele e soprattutto degli aiuti finanziari notevolissimi provenienti dal Qatar, da altri Stati arabi e da organizzazioni internazionali, destinati, a parere di molti analisti, a incrementare l’apparato bellico.[17]

L’odio antisemitico che si esprime con la denuncia del “complotto ebraico” si acuisce nei momenti in cui l’universo musulmano versa in particolari difficoltà. Non è un caso che riemerga violentemente con la fine dell’impero ottomano e permanga nella stessa misura virulenta ai giorni nostri. E i nostri studenti, che vivono in una realtà, quella occidentale, nella quale i diritti dell’uomo, del singolo individuo, della libertà di pensiero e di parola e delle scelte sessuali, della separazione tra Stato e Chiesa, sono stati sanciti e consacrati e sono patrimonio riconosciuto (anche se vanno rigorosamente e quotidianamente difesi e salvaguardati), i nostri studenti, che sfilano nelle dimostrazioni o occupano dipartimenti universitari, non esitano a farsi paladini di realtà culturali e politiche che ne sono l’esatta negazione. E per un odio rabbioso nei confronti del mondo occidentale in cui vivono, prendono le parti dei nemici della nostra cultura e accreditano metastorie, figlie di una impostazione mitico-religiosa, che producono racconti che stanno fuori della realtà. Chiudo constatando che l’impennata dell’antisemitismo è un sintomo pericoloso dell’indebolimento del costume democratico, rivelatore di una deriva autoritaria recentemente si va manifestando nel mondo occidentale.


[1] Pubblicato il 17 novembre 2023. Il sondaggio dice ancora che il 74,7% della popolazione desidera uno Stato palestinese “dal fiume al mare” (e quindi la distruzione di Israele) e solo il 17,2 è favorevole alla formula «due popoli, due Stati». Un sondaggio pubblicato da «la Repubblica» l’8 dicembre 2023, due mesi dopo il pogrom, dice che l’80% della popolazione di Gaza è favorevole a uno Stato palestinese dal fiume al mare e quindi auspica la distruzione di Israele. Cfr. Carlo Panella, cit., pp. 78-79.

[2] Sbalorditivo che i dati sulle vittime –  forniti proprio dal governo di Gaza, cioè da Hamas, organizzazione terrorista – siano presi per buoni da tutti i media internazionali. Tra l’altro non si fa mai distinzione tra guerriglieri e civili.

[3] Già che ci sono perché non parlare anche degli Italiani, “brava gente”? L’esercito italiano nella “riconquista della Libia” (“picchiate sodo”, si era raccomandato Mussolini), circondati i villaggi della Cirenaica, giustiziò 12 mila uomini, costringendo poi migliaia di uomini a una marcia forzata di oltre mille chilometri nel deserto, verso campi di concentramento. Le persone furono falcidiate dalla sete e dalla fame; coloro che non riuscivano a tenere il passo venivano fucilati sul posto. Di episodi simili si rese protagonista l’esercito italiano anche in Croazia, durante la Seconda guerra mondiale.

[4] Al momento (23 giugno), sembra che quelli ancora in vita, siano soltanto 66.

[5] Talvolta il «Corriere della Sera» e «La Repubblica» hanno fornito notizie sulle modalità con le quali l’esercito israeliano informa preventivamente la popolazione di Gaza di attacchi armati aerei o terrestri, giocandosi in tal modo l’effetto sorpresa. Non mi risulta che in qualche guerra, dalla notte dei tempi, un esercito abbia preavvisato la popolazione nemica di un proprio attacco. Più preciso Panella (p. 66): «Prima del lancio della sua operazione di terra, [l’esercito israeliano] ha effettuato 70mila telefonate, inviato 13 milioni di messaggi di testo, lasciato 14 milioni di messaggi vocali e rilasciato 7 milioni di volantini che invitavano i civili a evacuare temporaneamente per la loro sicurezza e li informavano delle località sicure». In effetti mi è stato mostrato un cellulare in cui appaiono i quartieri di Gaza. Quando l’esercito, o l’aviazione, intendono bombardare un quartiere, inviano un segnale sui cellulare segnalando anche quali sono le zone sicure in cui rifugiarsi.

[6] Per gli arabi è la cosiddetta Nakba, catastrofe, che riguarda sia la sconfitta militare, sia l’uscita di circa 700mila arabi dai territori teatro della guerra e in contemporanea l’espulsione dagli Stati arabi di circa 600 mila ebrei, cui se ne aggiunsero altri 900 mila negli anni immediatamente successivi.

[7] Feisal, il grande avversario del Gran Muftì scrisse: «Quando gli ebrei rientreranno in Palestina daremo loro un clamoroso benvenuto. […] Noi arabi, specie quelli colti, consideriamo con la più grande simpatia il movimento sionista. Lavoreremo insieme per un nuovo Medio Oriente e i nostri movimenti si completeranno reciprocamente. Il movimento ebraico è nazionalista, non imperialista. Il nostro movimento è nazionalista, non imperialista, e c’è abbastanza posto in Palestina per entrambi. Penso sinceramente che non possiamo riuscire che assieme».

[8] Da sottolineare la differenza tra cristiani e musulmani riguardo al destino degli ebrei. Mentre il Corano prevede un olocausto finale degli ebrei, premessa liberatoria della salvezza dei Giusti, Paolo, a proposito del rapporto tra Giudizio Universale ed ebrei, li sottrae al massacro e assegna loro la salvezza eterna, poiché, nel Giorno Finale vi sarà la loro conversione al cristianesimo (vedi Paolo, Lettera agli Ebrei e Lettera ai Romani e Agostino, La città di Dio, XX, 30). Differente, come è noto, l’antisemitismo cristiano. Nasce come antigiudaismo, con accusa per aver ucciso il figlio di Dio, ponendo di fatto l’ebreo al centro di ogni narrazione, col ruolo di protagonisti nella società, come causa di qualsiasi evento indesiderato, fosse una carestia, la pestilenza. A Genova si ghiacciò il mare nella notte di Natale del 1492. L’evento straordinario fu attribuito a una punizione divina dovuta alla presenza di ebrei da poco cacciati dalla Spagna che sciamarono soprattutto nelle regioni del Nord Africa. Antigiudaismo che evolse in antisemitismo, funzionale alla nascita degli Stati nazionali.

[9] Fu un falso creato dall’Ochrana, la polizia segreta zarista, con l’intento di diffondere l’odio verso gli ebrei nell’Impero russo. La prima pubblicazione è del 1903.

[10] Il caso più clamoroso è forse quello di Mahmud M. Taha (1909-1985) grande teologo e politico sudanese, fondatore di un movimento progressista e già protagonista nelle lotte contro il regime coloniale britannico. Si mosse poi contro il governo militare che si era instaurato, sostenendo la necessità di separare religione e Stato e puntando all’abolizione della Sharia. Arrestato, fu condannato a morte e impiccato nel gennaio 1985. Celebri le fatwǡ con condanne a morte ai danni dell’egiziano Nagib Mahfuz, premio Nobel (1988), scampato a un attentato nel 1994 e di Salman Rushdie (in questo caso fu Khomeyni in persona ad emetterlo). Recentemente Rushdie è stato fatto oggetto dell’ennesimo attacco per il quale ha perso un occhio e l’uso di una mano.

[11] Il 15 novembre 2016 l’UNESCO votò con una maggioranza schiacciante una Risoluzione, ripresa l’anno dopo dall’Assemblea generale dell’ONU (30 novembre), che dichiarava che il Monte del Tempio ebraico dovesse essere denominato col solo termine arabo Al Haram Al Sharif. Sempre per scindere il legame storico tra il popolo ebraico e i luoghi storici, il Kotel o Muro Occidentale venne chiamato col solo nome arabo Al Buraq. Durante ilCongresso islamico mondiale del 1931, presieduto dal poeta pakistano Muhammad Iqba, grande ammiratore del nazifascismo, fu votata una Risoluzione che individua nel sionismo il grande nemico dell’islamismo. Nel 2000, durante le trattative di Camp David, Saeb Erekat, capo della delegazione palestinese disse beffardo: «Il Tempio? Ma io non vedo nessun tempio!!!» (Carlo Panella, cit., p. 39).

[12] Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino oriente: è una struttura dell’ONU.

[13] «Al-Hayat al-Jadida», quotidiano ufficiale dell’ANP, 18 giugno 2002.

[14] Hajj Amin al-Husseini, Gran Mufti di Gerusalemme dal 1921, contribuì a reclutare musulmani bosniaci per le Waffen-SS per dar la caccia ai partigiani.

[15] Nel gennaio 2006 con una vittoria a sorpresa alle elezioni legislative in Palestina con il 44% circa dei voti, Hamas ottenne 74 dei 132 seggi della Camera, mentre Fatah, con il 41% circa dei voti ne ottenne solo 45.

[16] Gaza è ai primi posti, se non al primo, nella classifica mondiale delle esecuzioni capitali per ogni milione di abitanti. In buona compagnia, con l’Iran, la Cina e l’Arabia saudita (Fonte: Centro Palestinese per i Diritti Umani, cit.  in Panella, cit, p. 69)

[17] Questi sono i dati in mio possesso. (E aggiungo: grandiosi i beni immobiliari, azionari e fondiari all’estero in Turchia, Algeria, Sudan, Emirati Arabi, ecc. Numerose le testimonianze, mai smentite). Molte fonti forniscono informazioni diametralmente opposte, e quindi potrò ricredermi nel caso mi pervengano dati sicuri, che non siano ovviamente quelli provenienti dagli organi di governo di Gaza. Come già detto, il numero delle vittime nella Striscia sono forniti dal locale Ministero della sanità, lo stesso che accusò Israele di alcuni attacchi a ospedali, mai avvenuti. Ne approfitto per aggiungere alcune riflessioni. Rimango attonito quando compagni e amici posano fotografie o filmati che dimostrerebbero il blocco di tir che portano aiuti alla popolazione di Gaza o di fedeli arabi ai quali si preclude l’entrata in una moschea. Il fatto che non si contestualizzino gli episodi e si dia per scontato che si stia consumando un sopruso da parte di israeliani a danno degli arabi forse non è neppure malafede. È peggio: è assunzione acritica che dà per scontata una perfidia originaria degli ebrei che è alla base dell’antisemitismo. Pertanto, si torna al discorso dell’antisemitismo inconscio, come mi dimostrò un mio collega storico, peraltro molto preparato, che una volta, di fronte a varie contestazioni, sentenziò: «Dite quel che volete, comunque io sto sempre dalla parte dei palestinesi e contro Israele». Tutto ciò non esclude, ovviamente, che ci siano forme di rozza violenza da parte di estremisti religiosi ebrei, presenti tra i coloni in Cisgiordania. Ai primi di maggio (2024), invitato da un liceo della Spezia a parlare della guerra a Gaza, ho avuto come interlocutrici due ricercatrici o borsiste universitarie che hanno proiettato un video nel quale due soldati israeliani si gloriavano di aver ammazzato molti nemici. Non ho difficoltà a ritenere autentiche le interviste, capaci di dimostrare la rozzezza culturale in certi ambienti israeliani. La pecca del filmato consisteva però nel fatto che veniva proiettato, in contrapposizione, la scena della disperazione di una donna palestinese per la morte del figlio. I buoni e i cattivi.  

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