di Nello Del Gatto*
Se c’è una guerra che Israele ha sicuramente perso già dalla fine di ottobre, è quella mediatica. Il paese ebraico infatti, anche per proprie scelte, non ha capitalizzato mediaticamente il vantaggio che aveva dopo il massacro del sette ottobre.
Ha pesato molto la scelta di non mostrare le immagini degli scempi commessi da Hamas, dai suoi miliziani, ma anche dai civili di Gaza che, in più di un video di quei terribili momenti (che hanno cambiato la storia di Israele come quella di tutti coloro che vivono nell’area) si sono visti gioire, festeggiare, incitare a compiere altri atti simili. Come pure di affidare al portavoce dell’esercito, le uniche informazioni provenienti dalla Striscia
È stata la sublimazione dell’orrore. Eppure i vertici di Gerusalemme hanno deciso di tenerlo privato, riservato. Scelta comprensibile e condivisibile, soprattutto in considerazione del dolore dei familiari di ostaggi e vittime del massacro.
L’errore di fondo sta nel fatto che mentre Israele (al netto delle responsabilità nella gestione della guerra) ha agito con quella pietas propria di chi rispetta il valore della vita, ha sottovalutato chi sta dall’altro lato, che invece ha cavalcato tutte le notizie, anche se false, ha messo su una potente armata di guerra mediatica che ha spinto all’angolo Israele, sfruttando i tam tam del movimento pro Pal, da molti definito “Pallywood” per l’uso indiscriminato di informazioni false. O cavalcare l’onda della poca conoscenza dei fatti e dei luoghi.
Ha colpito molto, soprattutto nella fase delle manifestazioni nelle università, l’utilizzo di mappe antistoriche o la partecipazione di gruppi per i diritti LGBTQ+ dimentichi che sotto Hamas verrebbero uccisi. O innalzare vessilli di Hamas ed Hezbollah considerati resistenti, oppure inneggiare a paesi come l’Iran o la Cina. In quest’ultimo, oltre agli altri gruppi, i musulmani vengono sistematicamente annichiliti e spediti nei campi di lavoro.
La maggior parte dei giornalisti che si occupano di questi luoghi, sono in numerose chat di whatsapp e telegram dove si diffondono e condividono informazioni, oltre che vengono offerte interviste e contatti. In quelle vicine a Israele, non ci sono mai immagini violente, neanche i video che i terroristi pubblicano di tanto in tanto, degli ostaggi a Gaza che, sotto torture e pressioni inimmaginabili, raccontano e servono per fare pressioni su Israele. In quelle palestinesi, spesso circolano informazioni non corrette. Negli ultimi giorni si sta diffondendo la notizia che la campagna vaccinale per la polio a Gaza, è un modo per Israele per ammazzare i bambini palestinesi iniettando chissà cosa, oppure sia una mera scelta mediatica. O situazioni che qui sono normali nella anormalità della situazione, vengono girate a piacimento. Io stesso sono stato espulso da una chat quando a Pasqua cristiana ortodossa, come accade ogni anno, la polizia israeliana chiuse la città vecchia ai non ortodossi e limitando l’accesso agli altri visto il grande afflusso di fedeli cristiani. Su questa chat si disse che era un atto di controllo della forza occupante. Quando feci notare che accadeva ogni anno perché il Santo Sepolcro non può ospitare tutti, fui cacciato.
Senza contare la questione linguistica. Per i media propal, partendo da Al Jazeera, a Gaza non ci sono “ostaggi” ma “prigionieri”. La differenza non è di poco conto. Nel secondo caso, si identifica chi, nel bene o nel male, legittimamente o meno, sia in carcere per essere stato condannato, per aver commesso qualcosa, anche presuntamente. Si da per scontato, quindi, che anche Kfir Bibas, il bambino di un anno ostaggio a Gaza, o gli anziani o le donne ostaggio dal sette ottobre, abbiano commesso reati e non siano stati rapiti per il solo fatto di vivere da israeliani in quelle zone. Per i media palestinesi, i morti sono sempre martiri, indipendentemente se fossero innocenti bambini o i capi di Hamas che si sono macchiati di crimini. Gli ostaggi sono tutti “militari” e, insieme agli israeliani tutti, settlers, “coloni” o “occupanti”. Così come tutti i minori vengono definiti children, anche quegli adolescenti quindicenni, sedicenni, diciassettenni che la guerra e un regime ha portato ad imbracciare armi. La cosa fa sì che se traduciamo con “bambini”, è chiaro che si mischi il tutto.
Le immagini con l’intelligenza artificiale, soprattutto di bambini, sono numerose. La sola AFP ha messo su un sito di debunking contro le fake news, scoprendo che molte immagini o notizie sono prese da Yemen, Siria e altri conflitti. Ma nessun altro media internazionale lo ha fatto. Un timido tentativo è stato avanzato dalla BBC che ha denunciato che un video nel quale si vedeva una città in fiamme etichettata come Tel Aviv, a seguito dell’attacco iraniano, in realtà era un incendio in una città cilena. Poi ha intervistato la presidente del tribunale dell’Aja che a gennaio ha emesso il primo verdetto nella causa intentata dal Sudafrica contro Israele per genocidio, la quale ha spiegato che “contrariamente a quanto riportato da alcune fonti, la Corte non si è pronunciata sulla plausibilità dell’accusa di genocidio, ma ha sottolineato nella sua ordinanza che esiste il rischio di un danno irreparabile al diritto dei palestinesi di essere protetti dal genocidio”. Che è cosa ben diversa dal continuare a chiamare Israele stato genocida, come si legge.
In tutto questo, gioca anche la questione dei numeri delle vittime, la cui unica fonte è quella del ministero della salute di Hamas, che in passato si sono dimostrate plausibili. Anche perché non è consentito l’accesso ai giornalisti a Gaza, limitando non poco la libertà di informazione, dal momento che la Striscia non brilli per una stampa libera.
Una vittima per la guerra è una vittima di troppo. In questa situazione, abbiamo conferme e smentite, soprattutto sul numero e l’identificazione di civili. In ogni video di propaganda di Hamas si vedono persone in abiti civili condurre attentati o attacchi contro Israele. Questi sono civili o militanti? Coloro che hanno partecipato al massacro del sette ottobre, o che inneggiavano ad esso, che dileggiavano per le strade di Gaza i corpi martoriati degli ostaggi uccisi, cosa sono? L’Ocha, ente dell’Onu, ha sempre ridotto i numeri comunicati da Hamas. Fece scalpore un saggio pubblicato sulla rivista Lancet il mese scorso secondo il quale le vittime superano le duecentomila. Ma la storia è diversa. Non parliamo di articolo scientifico, ma di lettera alla rivista che, come scrive la stessa rivista, non solo non riflette il pensiero della stessa, ma non è sottoposta ad alcuna verifica di attendibilità scientifica. Dopotutto, anche gli autori, intervistati da diversi media stranieri, parlano di proiezioni su modelli riferiti ad altri conflitti.
Nell’era dei social media, la verità è quella che viene condivisa, che appare verosimile anche se falsa.
*(La Stampa)
La disinformazione scientifica Made
In ussr dal 1967 ha fatto enormi progressi e conta su buoni finanziamenti
ottimo articolo che contribuisce a chiarire fake news. grazie
Articolo molto interessante