Giordania, l’ombra di Hamas sul voto

L’instabilità del Medio Oriente passa anche per il regno hashemita

Domani si vota in Giordania. I partiti di opposizione che aumentano i consensi contestando il trattato di pace con Israele, le sfide alla sicurezza rappresentate dalle minacce alla stabilità del Regno poste dall’Iran, l’economia già indebolita dal Covid-19 che subisce un ulteriore colpo. Sono questi gli effetti che la guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza stanno avendo sulla Giordania e che si ripercuotono sui programmi politici dei partiti che domani si presentano alle urne. Confermando l’incognita affluenza, che si era fermata al 29,9 per cento nel 2020, gli altri dubbi riguardano l’esito del voto in un contesto regionale sempre più instabile.

L’attacco al valico di Allenby, dove tre vigilanti israeliani sono stati uccisi ieri da un camionista giordano poi neutralizzato dalle forze di sicurezza, ne è solo l’ultima dimostrazione. Fin dall’inizio della guerra, infatti, molti cittadini giordani sono scesi in piazza e spesso hanno mostrato il loro sostegno a Hamas, con i partiti di opposizione e gli islamisti pronti a ‘sfruttarli’. In un’analisi del Washington Institute si cita un sondaggio secondo cui il 66 per cento dei giordani ha approvato l’attacco del 7 ottobre e da qui i partiti hanno iniziato a chiedere la ripresa dei rapporti con Hamas, vietati dal 1999 quando il gruppo è stato espulso dal regno, e l’interrurzione dei legami economici e politici con Israele. Che si sia rafforzato o meno, l’Islamic Action Front, fondato come braccio politico dei Fratelli Musulmani, ha comunque aumentato la sua visibilità all’ombra di Gaza e bisognerà vedere come questo si tradurrà alle urne.
In ogni caso Ghaith al-Omari, analista senior della Gilbert Foundation presso il Washington Institute, sottolinea quanto sia importante e positivo che la Giordania tenga elezioni libere ed eque in un momento così teso.

(In Giordania, ad Amman, è stato aperto un ristorante intitolato al 7 ottobre)

«I risultati non altereranno la politica estera o la gestione della sicurezza della Giordania, che sono al di fuori della politica della legislatura», scrive al-Omari, convinto che i risultati del voto giordano «forniranno un indicatore importante dello stato della politica interna in questo importante alleato regionale». L’analista nota inoltre che «mentre alcune dichiarazioni ufficiali sulla guerra di Gaza hanno avuto una forte tendenza al populismo, la Giordania è riuscita in gran parte a bilanciare la rabbia pubblica e lo sfruttamento politico di questa rabbia, con i suoi impegni in politica estera nei confronti degli Stati Uniti e dei principali alleati». Una delle prove più visibili di questo impegno è stato il ruolo della Giordania nell’un’operazione difensiva condotta dal Comando centrale degli Stati Uniti per intercettare i proiettili sparati dall’Iran contro Israele. Ma se dal voto di domani emergeranno segni di profondo malcontento pubblico, «Washington e i suoi alleati potrebbero dover esaminare ulteriori strumenti politici, militari ed economici per aiutare a preservare la stabilità e la sicurezza della Giordania», conclude l’analisi del Washington Institute.

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