Quando la satira è una vergogna

di Giuseppe Crimaldi

Ho molto riflettuto prima di decidermi a scrivere. Basteranno poche righe per commentare l’incommentabile: due vignette apparse sulle prime pagine di giornali nazionali che dovrebbero far arrossire i rispettivi autori, pur rinomati disegnatori.

Ma quando cede anche l’ultimo diaframma di dignità, quando si fa ironia sull’appartenenza a una comunità sociale e religiosa, non c’è rispetto che tenga anche verso la libertà intellettuale di chi vorrebbe far satira senza capire che ha invece offeso un popolo, un credo, un’appartenenza. Sono scorsi fiumi d’inchiostro per criticare la facile sociologia da operetta quando descrivevano noi italiani identificandoci con la pizza e il mandolino; ci siamo indignati quando lo Spiegel pubblicò una copertina con un piatto di spaghetti coperti da una rivoltella; abbiamo ricordato i sacrifici dei nostri nonni e bisnonni che partivano per l’America con valigie di cartone chiuse con lo spago, rispetto all’assioma “italiani=mafiosi”.

Adesso inghiottiamo anche queste nuove offese che riguardano gli ebrei in quanto tali. Ci sarebbe da arrossire: ma certi vignettisti il rosso lo usano solo per colorare dei pessimi disegni.

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