È iniziata con un minuto di silenzio e l’intonazione della preghiera “El maalè rahamim” (“O Dio pieno di Misericordia”), da parte del rabbino capo Riccardo Di Segni, la cerimonia solenne in ricordo del 7 ottobre organizzata a un anno dal pogrom di Hamas nel Tempio Maggiore di Roma, alla presenza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Presenti in sala i rappresentanti delle ventuno comunità dell’ebraismo italiano, degli enti e delle associazioni ebraiche. «La preghiera che ho letto chiede un giusto riposo in cielo per le vittime», ha spiegato il rav. «In terra questo riposo è negato. Le vittime non hanno pace. I corpi di molti diventano merce da barattare, come le teste tagliate conservate in freezer, i corpi carbonizzati dalle granate lanciate, fusi insieme al punto che neppure i medici legali riescono a distinguere; e dopo i corpi la memoria insultata da una campagna sistematica di disinformazione, distorsione, colpevolizzazione che si è scatenata fin dal giorno dopo il 7 ottobre». Ne è derivata, secondo il rav, «una ubriacatura collettiva che ha offuscato le menti di molti, intorno ad analisi manichee di oppressi contro oppressori». Conseguenza di ciò la celebrazione del terrorismo «come atto rivoluzionario, che raccoglie consensi ecumenici dai giornali, alle scuole, alle università alle piazze». Negli anni di piombo «le istituzioni e i partiti italiani riuscirono a frenare questo processo», ha aggiunto. Mentre oggi al contrario «sta dilagando».
Noemi Di Segni
Dopo la presentazione di un video del presidente d’Israele Isaac Herzog, che ha ricordato come anche nel dolore più profondo la speranza sia sempre stato il nutrimento essenziale dell’identità ebraica e israeliana, per costruire e ricostruire dalle macerie, ha preso la parola la presidente Ucei Noemi Di Segni: «La ferita è quella di un intero popolo che ha sempre desiderato ispirare il proprio agire a quell’imperativo di vita che la nostra fede ci ha trasmesso per millenni. L’inno di Israele», ha aggiunto, «ci ricorda la speranza di vivere come popolo libero nel proprio Stato. La speranza qui, parimenti, di essere un popolo che vive accanto agli altri, ciascuno con la sua fede. In Israele e qui nelle nostre Comunità. Vivi e vitali come oggi, anche se feriti».
Victor Fadlun
A un anno dal 7 ottobre «il dolore non è diminuito e la rabbia è aumentata», ha constatato il presidente della Comunità ebraica romana Victor Fadlun. La rabbia è aumentata «perché, dopo un breve periodo di solidarietà a Israele, è riemerso dalla notte dei tempi l’antico pregiudizio antiebraico». Un pregiudizio che Fadlun ha definito «atavico» e oggi diffuso con nuovo slancio anche tra le nuove generazioni, «dove i cattivi insegnamenti hanno fatto breccia». Fadlun si è detto «grato» al governo e alle forze dell’ordine «che garantiscono la nostra sicurezza: ma è normale che dobbiamo vivere sotto scorta e fino a quando?». Rabbia, ma anche speranza nelle parole del presidente degli ebrei romani. Speranza in particolare «per un futuro di pace e sicurezza, per Israele e per tutto il Medio Oriente».
Jonathan Peled
Jonathan Peled, l’ambasciatore designato d’Israele a Roma, ha ricordato che gli attacchi del 7 ottobre sono stati compiuti «diciotto anni dopo il ritiro israeliano da Gaza», mentre il giorno dopo Hezbollah «si è unito con attacchi da nord». Da allora, ha sottolineato, «Israele e le democrazie occidentali sono costantemente accattate dall’Iran e dalla Jihad islamica». Israele non voleva questa guerra e nemmeno la ha iniziata, ha poi specificato il diplomatico. «Ma Israele, come qualunque paese al mondo, ha il diritto di difendersi. Israele sta combattendo non contro il popolo palestinese né contro quello libanese, ma contro l’Islam radicale. Per se stesso, ma anche per l’Europa e l’Occidente». Gerusalemme sente l’Italia al suo fianco, ha sostenuto l’ambasciatore. Per Peled, Roma è «un buon amico in Europa e nel mondo».
Ella Mor
Sul palco anche Ella Mor, la zia della piccola Abigail Edan. La nipote, quattro anni, è stata resa orfana dai terroristi di Hamas ed è stata sequestrata per 51 giorni a Gaza. I suoi fratelli si sono salvati nascondendosi 14 ore in un armadio. «Sono la zia di una bambina diventata famosa nel mondo contro la sua volontà. Fino al 7 ottobre, fino a quel sabato nero, avevamo una vita completamente normale», ha esordito Mor. Il 7 ottobre è stato uno spartiacque nella sua e in tante altre vite in Israele, ma per esteso per tutta l’umanità, perché «il terrorismo islamico ha rivelato il lato più oscuro: tutto si è svolto secondo un programma organizzato». La donna ha confidato, tra le lacrime, l’angoscia di quei 51 giorni: «Non sapevamo se Abigail sarebbe tornata e come e come raccontarle che i suoi genitori sono stati uccisi». Oggi è a Roma, e non in Israele, con un messaggio: «Sono qui perché il mondo deve sentire cosa è successo il 7 ottobre. Sono qui per avvisarvi, perché se è successo in Israele, può succedere in tutto il mondo. Tutti dobbiamo unirci contro il terrorismo e per riportare i rapiti a casa». Ha proseguito Mor, prima di accendere un lume commemorativo con l’ambasciatore Peled: «Dal giorno in cui Abigail è tornata a casa, ho deciso di dedicare la mia vita a questa causa. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti voi, perché senza i rapiti indietro non possiamo ricostruire né Israele né noi stessi».
(Contributo Moked)
Cerimonia solenne e doverosa . Mi piace sottolineare quanto detto da Victor Fadlun, Presidente della Comunità Ebraica Romana : rabbia , ma anche speranza per il futuro di Israele e del Medio Oriente
cerimonia emozionante che ho seguito come ho potuto tramite Tv e FB. grazie sempre delle notizie e della rapidità nel comunicare : penso sia veramente faticoso!
Non avrei potuto mancare alla cerimonia per tesimoniare la mia vicinanza a Israele, al suo popolo e agli italiani di cultura e fede ebraica. Inimmaginabile che Israele, terra di luce e libertà, possa soccombere colpita dalla barbarie.