di Emanuele Calò*
Ne “Il neo – antisemitismo provocato da Bibi” pubblicato a pagina 21 del 4 ottobre 2024 da Il Fatto Quotidiano, la storica Anna Foa scrive: «Ci sono militari che rifiutano di andare a combattere a Gaza, preferendo la prigione. Si è formata addirittura un’organizzazione di genitori che invita i figli a rifiutare di combattere questa guerra». Non si dice quanti siano, eppure, dovremmo sapere se sia un fenomeno rilevante. Su Le Monde del 21 marzo 2024, versione anglofona, si menzionano «rare voices»; sull’israeliano +972 del 7 agosto 2024, solo cinque sono noti. Chi ha ragione? Non lo so, ma prima di dare la notizia dei cosiddetti refuseniks (renitenti alla leva, così chiamati) sarebbe stato opportuno spiegarne al lettore l’entità.
Quanto all’antisemitismo, si dice che «di definizioni ne abbiamo due recenti. Una è quella dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), del 2016, adottata da 43 Stati, Italia compresa, che pone un legame stretto tra antisionismo e antisemitismo. L’altra è quella di Gerusalemme del 2021, opera di ambienti accademici israeliani e americani preoccupati delle conseguenze che la definizione dell’IHRA avrebbe avuto sul piano della delegittimazione delle critiche a Israele come antisemite. Il documento di Gerusalemme definisce l’antisemitismo come ‘la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche)’». Sennonché, la definizione di Gerusalemme (JDA) è, secondo chi scrive, contraddittoria e insoddisfacente, tant’è che quella dell’IHRA è stata adottata quasi ovunque nel mondo, e ha ricevuto tutto l’avallo possibile dall’Unione Europea. Quanto al potere della definizione IHRA di delegittimare le critiche a Israele come antisemite, essa premette che «le critiche verso Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite». Sarebbe stato opportuno, inoltre, spiegare che la definizione IHRA premette di essere «non giuridicamente vincolante». D’altronde, se le critiche a Israele fossero considerate antisemite dalla definizione IHRA, ne conseguirebbe un vulnus alla libertà d’espressione, e quindi tale definizione sarebbe nata morta, ragion per cui la citata preoccupazione degli accademici (si spera non siano giuristi) è priva di fondamento.
(Una vignetta pubblicata sul Fatto Quotidiano)
La studiosa scrive che «percorrere la via stretta tra il governo di Netanyahu e Hamas è difficile, soprattutto nel mondo ebraico abituato a denunciare ogni crescita dell’antisemitismo e ormai convinto che si debba far un tutt’uno di antisemitismo e antisionismo. Intanto Israele è sempre più isolata, il mondo condanna la distruzione di Gaza». Il punto è che l’antisionismo manca di definizione, cosa che invece andrebbe fatta; se si tratta di negare agli ebrei il diritto di autodeterminazione, consentito invece ad altri, come qualificarlo se non come antisemitismo? Quanto al riferimento al «mondo ebraico», esso è così generico da creare qualche problema identificativo. Sia chi scrive che Anna Foa apparteniamo al «mondo ebraico». Eppure, siamo agli antipodi, a riprova che esprimersi in termini di mondo ebraico, in quanto anfibologico, rischia di far apparire gli ebrei come un tutto compatto, e quindi diverso dagli altri popoli.
Fin qui, siamo nel terreno dell’opinabile: Foa ha un’opinione, io ne ho un’altra, e probabilmente abbiamo un accordo di fondo, che consiste nel fatto che ciascuno ritiene che l’altro sbagli. Niente di male.
Dove, invece, non sono d’accordo è coi titolisti del FQ, e qui farebbe bene l’autrice a protestare, laddove scrivono che l’antisemitismo («neo») sarebbe provocato da Bibi, perché il razzismo non ha mai una buona ragione d’esistere. Il titolista sicuramente lo sa, ma qualcosa gli dev’essere sfuggito, sicuramente in buona fede. Tanto per fare qualche esempio, nessuno attribuirebbe il razzismo contro i neri al fatto che Bokassa fosse un mostro e nessuno penserebbe che l’omofobia possa essere giustificata perché l’omosessuale XY sia un essere orribile. L’antisemitismo non può essere qualificato come una reazione a qualche malefatta di un premier; sarebbe come dire che si odiano gli islamici perché Hamas e Hezbollah sono organizzazioni terroristiche e antisemite. Il razzismo non può né deve trovare pretesti. Faccio salva la buona fede, però consiglierei il ricorso al metodo apagogico, laddove si riscontrino delle difficoltà. Su questo, sicuramente Anna Foa sarà d’accordo con chi scrive.
(*giurista – da Moked)