Missione KKL, diario di viaggio

di Francesca e Giorgio Linda*

(seconda puntata) – l giorno successivo ci siamo spostati al Sud, cuore della Missione. Nella foresta di Reim dove si è svolto il Nova Party il ricordo dei ragazzi uccisi è straziante e ti entra nell’anima. Le foto dei ragazzi trucidati sono però circondate da bandiere, coccarde gialle , palloncini e poesie e testimoniano insieme l’antichissima mitzva di non dimenticare e la caparbia volontà di “scegliere la vita”. Con lo stesso spirito ognuno di noi ha piantato un nuovo alberello di eucalipto perché la foresta torni ad accrescersi dopo la devastazione e come segno di rinascita e di speranza. Guardandomi attorno, ho ricordato un documento ,collazionato con i video girati col cellulare dai ragazzi mentre cercavano di nascondersi dalla furia omicida dei terroristi, ed ho provato angoscia per l’inesistenza in pratica di un vero riparo.


Nel primo pomeriggio, Shaki, un anziano scampato fortunosamente al massacro ad Ofakim ci ha commosso col suo racconto di amici trucidati e ci ha fatto provare l’ansia di rimanere chiusi nel mamad ,il rifugio blindato. Non meno impressionante ,a Tkuma, il cimitero delle macchine bruciate a Reim . Da fantascienza le procedure di Polizia, Fisco e Zaka per recuperare i cadaveri dalle auto e identificarli
Da lì al Centro di Resilienza di Sderot dove un team di psicologi specializzati curano malattie dell’animo che hanno raggiunto livelli spaventosi, ma intervengono anche su bisogni più concreti di singoli e famiglie. Il tutto in un edificio totalmente blindato costruito nell’ultimo anno. Nel cortile dell’edificio degli scatenati bambini giocavano ai giochi della nostra infanzia ed erano la rappresentazione plastica dell’istinto vitale.

Del resto, sorprendentemente, dopo il 7 ottobre , mille nuovi cittadini si sono trasferiti a Sderot. Chi ricordava la banale e triste cittadina colpita dai razzi Qassam nel 2007-2008 è rimasto colpito dalle sue strade ampie bordate da aiuole fiorite, dalla sua aria tranquilla.
La giornata si è conclusa in modo brillante con una grigliata presso una base di riservisti a 1,8 Km da Gaza e che si fanno 200 giorni di servizio. I soldati ci hanno accolto calorosamente , anche perché per l’occasione era stato dato loro il permesso di ospitare mogli e figli ,e queste, assieme alle signore del nostro gruppo, hanno imbandito un buffet pantagruelico . Abbiamo cantato e ballato e l’allegria si è elettrizzata quando una squadra è rientrata sana e salva dall’orrore di Gaza. Porterò nel cuore l’abbraccio adrenalinico e gli occhi lucidi di un giovanissimo militare che potrebbe essere mio nipote. Il penultimo giorno della Missione è iniziato presso una fattoria in crisi per la carenza di manodopera. Detto fatto : alcuni di noi sono andati nei campi a estirpare erbacce dalle file di coriandolo, altri si sono dedicati a selezionare e imbustare peperoncini, altri ancora hanno mondato e confezionato la lattuga. Ci siamo divertiti e naturalmente alla fine abbiamo consumato un allegro lunch a base di prodotti (biologici) della fattoria.
Tanto è stata allegra la mattinata, tanto è stato grave il pomeriggio. Abbiamo infatti visitato il kibbutz di Holit , ad un tiro di sasso dal confine con Gaza . Nella orrenda mattina del 7 ottobre , sono stati colpiti 32 kibbutz , di essi solo 9 non sono ancora ricostruiti a motivo della gravità della distruzione e Holit è uno di quelli.


Ci hanno accompagnato l’architetto , una giovane mamma italiana, incaricata di pianificare la ricostruzione ed un emozionato superstite il quale in qualche momento ha fatto fatica a trattenere le lacrime narrando le vicende umane di quel massacro, che ha purtroppo coinvolto alcuni suoi amici. Mentre parlava , sentivamo bombardare a Gaza. Dopo questi racconti può sembrare incredibile che gli abitanti del kibbutz vogliano ritornare e premano per farlo, ma se si immaginano quei vialetti e quei giardini animati da giochi di bambini, e quelle piazzette teatro di racconti di anziani o di feste di giovani , allora si può ben credere a questo desiderio di ritorno. Temevo – l’ho detto – una non ebraica ostensione del proprio dolore, temevo che Holit diventasse un macabro ( e magari lucrativo) museo dell’orrore e invece si sono subito scusati e dispiaciuti che, per mancanza di personale ( un solo giardiniere!) si fosse iniziato solo da poco a curare il verde…

Gran finale la mattina successiva, con tutte le Delegazioni nuovamente riunite al Kibbutz Ruchama per un ultimo saluto. Abbiamo avuto pratica dimostrazione delle attività assistenziali del KKL , ma anche un festoso happening con musica e, neanche dirlo, cibo (buonissimo) a volontà. Ancora una volta siamo stati ringraziati e ringraziati per la nostra presenza e riempiti di omaggi.
Una annotazione a parte merita l’argomento ostaggi : una massima talmudica sottolinea che si rimane vivi finchè si è ricordati e ciò sembra essersi ben impresso nell’inconscio collettivo. Le foto degli ostaggi sono veramente ovunque, lungo i marciapiedi, negli alberghi, nei negozi, sui tronchi degli alberi e sono frutto della pietas dei parenti che a loro spese hanno fatto stampare manifesti, volantini, adesivi e quant’altro. In alcuni casi la foto reca un QR grazie al quale si può conoscere la vita dell’ostaggio.
Il Presidente Herzog ha ricordato la massima per cui ogni Ebreo è responsabile per tutti gli altri ed effettivamente fin dai primi giorni dopo il 7 ottobre si è creato uno spontaneo, articolato e privato movimento di solidarietà di imponenti dimensioni. Qualche esempio? Gli sfollati sono stati ospitati in alberghi : vitto e alloggio assicurati, ma il bucato? Dei comitati di signore passano a ritirare la biancheria sporca, la lavano e stirano a casa propria e la riportano negli alberghi.


(L’intervento del presidente Isaac Herzog)

Chi è alloggiato in modo precario come può preparare degnamente la cena di Shabbat ? Ci pensano altri invitandolo nelle loro case o preparandogli la cena.
E i bambini ? Chi è in grado di farlo, si offre per lo Home schooling in casa propria e potrei continuare con altri esempi che ci sono stati fatti. Ancora una volta il pensiero corre sconsolato alla ottusa burocrazia italiana per cui una mamma non può portare una torta fatta da lei alla scuola del figlio…
Ecco, questa è l’Israele che temevo di non trovare più, fiaccata prima da un edonismo di tipo europeo e travolta poi dalla tragedia. Invece no, ho ritrovato energia, vitalità, grinta, ottimismo, tenacia, fiducia in se stessi e nella società , fantasia , chutzpà e un pizzico di follia. L’Israele dei miei ultimi viaggi era l’adolescente un po’ viziato e un po’ strafottente di una famiglia ricca; dopo il 7 ottobre mi è sembrato che quell’adolescente, dopo un rovescio familiare, sia diventato un giovane “che ha messo la testa a posto”.
AM ISRAEL CHAI !

PHOTOGALLERY


P.S. Tante, tantissime grazie al team , guarda caso di sole donne, che ha organizzato e gestito in modo eccellente il nostro viaggio : Liri Eitan, Paola Avigail Senigaglia, Daniela Guetta, Naama Campagnaro e infine a Matan, nostro angelo custode armato.

*Associazione Italia Israele di Udine

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