di Marco Rota*.
Gli anglosassoni utilizzano l’espressione «elefante nella stanza» per indicare qualcosa che è impossibile non vedere.
Quello che non si vuole vedere è che Israele è sotto attacco non solo militarmente ma soprattutto culturalmente e politicamente.
Questa omissione, soprattutto in Europa, ha radici profonde, che rimandano a due fenomeni molto diffusi, l’antisemitismo e l’antiamericanismo, che si sono saldati all’islamismo radicale ormai molto diffuso in tutto il Vecchio Continente. Una miscela esplosiva, soprattutto in termini di guerra cognitiva contro l’Occidente.
Che vi potessero essere azioni di sostegno nei confronti dei palestinesi di Gaza era facilmente immaginabile, considerando i rapporti politici della vecchia sinistra europea (ma anche di frange di estrema destra) durante gli anni Settanta con la galassia di partiti e movimenti del mondo palestinese, un tempo incarnato, principalmente ma non esclusivamente, da Yasser Arafat.
Un reticolo di sigle talmente potente sul piano politico, e anche ricco finanziariamente, da riuscire a condizionare per decenni la politica estera di numerose nazioni europee, con l’Italia a far da scuola fino ai nostri giorni.
Ne è un esempio adamantino quell’insieme di accordi collusivi che la pubblicistica chiama “Lodo Moro” tra lo Stato italiano e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, gruppo a sua volta membro dell’OLP.
Aldo Moro, in realtà, non ne fu l’ideatore ma uno dei prosecutori, lungo la linea del tempo della politica estera italiana.
Per Lodo Moro, stando alla definizione che il presidente Francesco Cossiga fornì a suo tempo, si intende comunemente quel rapporto di scambio e di tacita collaborazione tra governi italiani, sigle e gruppi scissionisti dell’universo terroristico palestinese, in Libano, Libia, Turchia così come attraverso opachi traffici intermediati dai Paesi dell’Europa orientale.
La narrativa palestinese era una “misura attiva” della guerra psicologica del KGB sovietico, agenzia di intelligence protagonista della stagione degli opposti estremismi destra/sinistra durante la Guerra Fredda in Europa, nonché ideatore dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II, missione supportata dai servizi segreti dell’allora Patto di Varsavia, in primis quelli di Bulgaria e Germania Est.
Questa relazione pericolosa tra Italia ed elementi palestinesi, si tradusse persino in una bipartizione all’interno dell’intelligence italiana, in cui interloquivano tra loro due sensibilità diverse circa la gestione degli affari riservati: un’ala tradizionalmente filoatlantica e in appoggio allo Stato d’Israele; un’altra filoaraba e dialogante con i palestinesi, ma anche con Mosca così come con libici e altri Stati del Medio Oriente. Due “geopolitiche” diverse che si sono combinate nello stesso servizio italiano,
specchio fedele della nostra politica estera.
Una precisazione, tuttavia, è d’obbligo.
Se è realistico pensare che il Lodo Moro fosse una sorta di lasciapassare per tutti i contendenti del Medio Oriente, sia per le attività del Mossad israeliano sul territorio italiano, sia per quelle dei palestinesi, va sottolineato che gli israeliani hanno sempre neutralizzato individualmente i terroristi nemici di Gerusalemme.
All’opposto, il terrorismo palestinese ha provocato centinaia e centinaia di vittime sul suolo europeo, sequestrato persone, dirottato aerei di linea, colpito ambasciate, aeroporti, luoghi di svago e di passaggio di civili inermi, donne e bambini.
Quest’assuefazione occidentale alla causa palestinese ha origini lontane.
Il KGB di Yuri Andropov decise di plasmare la narrazione palestinese mutandola in una di tipo genericamente islamico; un’operazione di propaganda per trasformare una serie di bugie e di falsi storici su Israele e sugli ebrei in un’arma fatta di odio da scagliare contro lo Stato ebraico e il suo principale sostenitore, gli Stati Uniti d’America.
A parere di Andropov, il mondo islamico non vedeva l’ora di rispecchiarsi in un progetto che l’Unione Sovietica avrebbe sviluppato e usato contro Israele, facendo leva – sempre secondo il leader del KGB – sull’antisemitismo, sul nazionalismo e sul vittimismo dei musulmani.
In una recente pubblicazione sul Lodo Moro, scritta da Valentine Lomellini per l’editore Laterza, si dà per buono l’avallo dell’Unione Sovietica – per il tramite di Andropov stesso al Comitato centrale del partito in una minuta del 1975 – alla fornitura di armi al dirottatore di aerei Wadie Haddad a patto di evitare «atti terroristici violenti e insensati palestinesi», spostando dunque le operazioni più sanguinose dall’Europa direttamente «sul territorio di Israele».
Ma quello che Lomellini non rileva è che questi disegni erano operazioni sovietiche di guerra non convenzionale, la cui vera paternità venne nascosta all’opinione pubblica occidentale, anche perché l’antisemitismo doveva sembrare solo di destra e mai di sinistra, in particolare in Italia per non guastare il clima di «compromesso storico» di quegli anni.
La disinformazione del KGB ebbe gioco facile nel condizionare quasi tutti i mezzi di comunicazione, dall’editoria alle università.
Da ultimo è arrivato in questi ultimi anni l’avallo sociale, quasi filantropico, dell’ONU, che ha rivelato il sotteso gioco di viscidi rapporti di forza di cui è preda l’organizzazione guidata da Antonio Guterres.
I mea culpa di Emmanuel Macron rincalzati dai fatti in Sudan e in Niger e, ancora, la sua più recente richiesta di embargo contro Israele, il Terzomondismo laico e cattolico, il richiamo alla Decolonizzazione, la retorica sul sud del mondo, fanno il resto e alimentano il cronico senso di colpa dell’Occidente.
Ci sarebbe da riflettere in ordine al fatto che molti di questi Paesi in via di sviluppo si riducono a essere quasi epifenomeni, tra l’altro correndo appresso – come fanno – a dittatori e autocrati di ogni genere (la Cina comunista, la Russia di Vladimir Putin, l’Iran ma anche molti degli stessi regimi africani autoctoni) ben peggiori di quanto non fossero la Germania guglielmina o l’Inghilterra imperiale.
Una specie di discorso escatologico sulle «cose ultime», come fossimo davanti a dei dannati della terra che riprendono il potere, in senso quasi cinematografico, e ripagano finalmente i vecchi colonialisti per tutto il male fatto.
Un tema logoro, già affrontato dalla grande letteratura (pensiamo a Lord Jim di Joseph Conrad, già livre de chevet del maresciallo Piłsudski), che sta perdendo un certo smalto persino nelle università americane più progressiste.
Anche questa volta, sempre con Israele come esperimento in corpore nobili, vedremo se prevarrà l’istinto di autoconservazione occidentale oppure il richiamo a discorsi accademici à la Edward Said (che peraltro decise di finire i suoi giorni comodamente a New York, non a Gaza).
Lo storico Roberto de Mattei ha spiegato come «il primo obiettivo del Fronte islamico, come del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), è la riconquista di Gerusalemme, la città da cui il profeta Maometto avrebbe spiccato il volo su un carro di fuoco e dove sorge la Moschea Al-Aqsa, costruita sulle rovine del Tempio. Il secondo obiettivo è la conquista di Roma, definita anche la “Mela Rossa” (Kizil-Elma), in analogia con il globo d’oro che sormontava la statua dell’Imperatore Costantino nella capitale bizantina. Dopo Costantinopoli, Roma è divenuta la “Mela Rossa”, ossia la meta finale del trionfo dell’Islam sulla Cristianità».
Non comprendere l’attacco a Israele e all’Occidente rafforza quello che Giovanni Sartori, in un articolo efficace sull’affaire Ocalan, definì «stupidismo buonista»: «Il confine tra buonismo e stupidismo è sottile e, come i nostri confini, difficile da difendere», disse il grande politologo fiorentino.
Semplicemente, i media occidentali non vedono «l’elefante nella stanza» perché manca loro la forza di volontà per farlo.
Israele si trova ad affrontare il terrorismo attuale o potenziale da più versanti. Gaza (da dove tutto è iniziato), Libano (da dove Hezbollah lancia droni e razzi), Siria (da dove le milizie sciite e affiliate al Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche hanno condotto aggressioni simili a quelle libanesi) e Cisgiordania.
Si tratta di una guerra di aggressione mossa da più punti contro Israele come target.
In passato, agli occhi degli israeliani lo Stato ebraico si è ritirato da tre territori: il Sinai, il Libano meridionale e Gaza. Il Sinai ha trascorso gran parte degli ultimi 10 anni nelle mani dello Stato islamico; il Libano meridionale è nella morsa degli Hezbollah iraniani ma non lo sarà ancora per molto; Gaza era sotto il controllo di Hamas, che l’ha usata per pianificare le atrocità del 7 ottobre e per lanciare migliaia di razzi negli anni successivi al ritiro di Israele, come ha spiegato bene il RUSI (Royal United Services Institute).
Gli israeliani hanno cercato di controllare queste aree, liberandole, attuando un blocco parziale ed erigendo recinzioni attorno ad esse. Eppure, ad ogni cambiamento, per quanto le azioni di Gerusalemme fossero di volta in volta sostenute o condannate, la violenza palestinese nei confronti degli israeliani è sempre cresciuta.
Israele ha più volte spiegato alla comunità internazionale come la maggior parte dei problemi regionali sia provocata dai tentacoli del regime iraniano. E, dopotutto, anche se Israele eliminasse i militanti di Hamas, altri ne arriverebbero grazie ai fondi del Qatar e degli Ayatollah, riempite con i soldi del petrolio iraniano e dirette verso una piccola ma potente minoranza sciita di Gaza.
L’unica soluzione è affrontare direttamente l’Iran perché troppe entità intorno a Israele sono teste di un’idra che vuole solo la morte dello Stato ebraico.
In caso contrario, Israele non potrà mai vincere la guerra psicologica con i palestinesi, che godono di una narrativa che ha letteralmente inebetito le opinioni pubbliche occidentali, sin dai tempi dell’Unione Sovietica.
Gli eventi attuali porteranno presto ad un cambiamento dell’approccio che Gerusalemme ha verso la Cisgiordania, e, in definitiva, verso Teheran (che continua a portare armi in Cisgiordania).
Non esiste la pace, ma la Storia.
Gli europei hanno vissuto il tempo più lungo di pace ininterrotta degli ultimi secoli e torneranno a ricordare che la vera arte della politica estera non è quella di abbandonare fede, ideali e virtù in funzione dell’interesse contingente, ma è aumentare il potere per preservare sia i propri ideali che gli interessi.
Alternative? Non ci sono.
E per fare questo, quattro elementi sono indispensabili a mantenere il potere per una pace durevole: gli armamenti, la cultura, l’energia, la tecnologia.
Abbiamo a che fare con dei demoni.
Non importa che il sistema capitalistico dell’Occidente, con le virtù che difende, abbia prodotto un livello di benessere e di libertà senza precedenti, anche nei Paesi in via di sviluppo.
I demoni che in Europa e in America si aggirano tra i giornali, nelle università, nei parlamenti, inneggiando ad Hamas e manifestando contro Israele, in definitiva si battono contro la loro stessa Storia, quella che ha consentito loro di iscriversi al campus universitario, essere eletti in un’assemblea parlamentare, scrivere contro il proprio Stato o il proprio governo democraticamente.
Come il personaggio Pyotr ne I Demoni di Dostoevskij, queste persone vogliono solo distruggere tutto quello che la nostra cultura ci ha insegnato a difendere.
Molti in Occidente non distinguono più uno Stato democratico come Israele (dove, ad esempio, gli arabi che sono cittadini israeliani hanno il diritto di votare) dal jihadismo, che è interessato solo alla morte degli ebrei e dei cristiani.
L’Europa secolarizzata dovrebbe recuperare i concetti di potere e Storia, e riconciliarsi con la cultura giudaico-cristiana, ma ora è troppo tardi.
Intanto, la leadership di Benjamin Netanyahu è più solida di quanto possa sembrare.
Questo scenario non era stato previsto e influenzerà tutto il Medio Oriente.
Vedremo presto in quali capitali del Medio Oriente e del Nord Africa si stia bluffando, sia sulla normalizzazione dei rapporti con Israele (gli Accordi di Abramo, infatti, sono in netta ripresa), sia, più in generale, sull’adesione alle regole della democrazia e sulla richiesta pazza da parte di alcuni di espellere Gerusalemme dalle Nazioni Unite.
Il conflitto tra Israele e Hamas, così come il conflitto in corso con Hezbollah, devono essere inquadrati nello scontro culturale tra l’Occidente ed i proxy dell’Iran, nel più ampio scenario dello scontro geopolitico tra Cina e Stati Uniti d’America, con diverse faglie attive di attrito geoeconomico che si stanno muovendo intensamente, dal Caucaso al Mediterraneo, dai Balcani a Taiwan.
*Advisor strategico e analista geopolitico, autore del libro Putin’s Spies: Against the West and
Towards World War III, edito da Nova Science, New York.