Il racconto dei militari impegnati nell’operazione in cui è stato ucciso il leader di Hamas
“Fratello, lo riconosci?”
Nel momento di massima concitazione, quando i soldati hanno liberato dalle macerie il corpo di Yahya Sinwar riconoscendolo, l’ufficiale più alto in grado ha inviato al volo il messaggio e le foto alla postazione del Comando sud. Neanche un minuto, e il comandante dall’altra parte le ha girate allo Shin Bet: nessun dubbio, lo spietato, ascetico, tetragono ideologo di Hamas era morto. La conferma è piombata sulle truppe trasformando le reclute della scuola di fanteria Bislah (acronimo di ‘bet sefer lehir’) negli eroi della guerra. Quelli che entrano nei libri di storia.
Uno di loro, giovanissimo, ha raccontato a N12 l’esperienza della sua vita.
“Mercoledì pomeriggio uno di noi ha identificato un terrorista nella zona di Tel Sultan. Da quel momento all’inizio dell’operazione è stata una questione di minuti. Si è scatenato uno scontro con molto fuoco, anche di artiglieria, è inimmaginabile quello che è successo lì”, ha descritto. “In quel momento, le truppe non sapevano affatto che si trattava di Sinwar. Quando dopo ore è girata voce che era stato ucciso, abbiamo detto ‘wow, che coincidenza se fossimo stati noi… ma probabilmente è stata un’unità d’élite’“. “Solo dopo la situazione ha iniziato a chiarirsi, abbiamo capito che Sinwar era stato eliminato nella zona del battaglione: era stata opera nostra. E’ stata un’emozione che non ho mai avuto in vita mia”, ha ammesso. Tutto è cominciato mercoledì, ha fatto trapelare l’esercito, verso le dieci del mattino, vigilia della festa di Sukkot, quando un soldato del 450mo battaglione ha avvistato figure sospette che si aggiravano tra le case distrutte di quel quartiere di Rafah. Il tenente colonnello Ran Canaan ha deciso di avanzare con la fanteria e le forze corazzate. Erano in tre: due di loro camminavano davanti avvolti in coperte e un altro, con un giubbotto da combattimento e un’arma, la testa coperta da un cappuccio, si muoveva dietro di loro. Nei primi istanti è stata presa in considerazione la possibilità che le due persone mascherate fossero degli ostaggi, è stato aperto il fuoco contro la terza persona – identificata come terrorista – che è stata colpita alla mano. Era Sinwar, ma in quel momento nessuno lo sapeva. A questo punto i terroristi si sono divisi, due di loro sono entrati in una casa vicina, il terzo (Sinwar) è fuggito in un altro edificio. Il plotone è andato verso la palazzina semidistrutta, sulla scala c’erano macchie di sangue, fresco.
Lui ha tirato due granate dalla finestra. A quel punto è partita un’operazione ‘pentola a pressione’: lanci da carri armati, missili Matador e mitragliatrici. Dopo il primo proiettile, è stato lanciato un drone, quello che ha ripreso il capo del terrore di Gaza seduto ferito su una poltrona nella casa sventrata. Lui lo ha guardato e ha cercato di abbatterlo con un pezzo di legno. Le truppe hanno sparato un altro proiettile, poi è partita la mitragliatrice che lo ha ucciso. Il sole è tramontato. I comandanti hanno deciso di congelare la situazione fino alla luce del mattino. Quando il generale Yaron Finkelman è arrivato e ha visto il cadavere con i suoi occhi, ha capito. Secondo le stime, Sinwar non aveva intenzione di fuggire in Egitto ma ad al Mawasi, in riva al mare. Nella notte tra giovedì e venerdì è stata eseguita l’autopsia, poi il corpo è stato portato in un luogo segreto. Non è escluso che diventi oggetto di scambio in una futura trattativa.
ANSA