di Marco Lupis*

da Gerusalemme
Intervista al demografo e professore all’Università ebraica di Gerusalemme:
“Bisogna dare autonomia a Gaza e Cisgiordania”

“La soluzione non potrà che essere non con i due stati, quello
israeliano e quello palestinese, ma a tre stati, con le autonomie di Gaza e della
Cisgiordania”. Non ha dubbi né tabù nell’affrontare la spinosa questione con
Huffpost il professor Sergio della Pergola, demografo e professore all’Università
ebraica di Gerusalemme. E si appassiona nello spiegarci come, mai come nel caso
di Israele, “la demografia è politica”. Nato a Trieste in una famiglia ebraica,
Sergio Della Pergola, figlio del giornalista Massimo, è emigrato in Israele nel
1966, dove oggi insegna demografia e studi sulla popolazione all’Università
Ebraica di Gerusalemme, ed è considerato il massimo esperto sulla popolazione
ebraica mondiale, sia israeliana sia della diaspora. È stato consulente del governo
israeliano, del comune di Gerusalemme e dell’Istituto Centrale di Statistica di
Israele e membro della commissione Yad Vashem per i giusti tra le nazioni.
Sposato con la figlia dello scomparso rabbino capo di Roma, Elio Toaff, il
professor Della Pergola sta ovviamente seguendo molto da vicino quanto sta
accadendo in queste ore in Siria.
Affrontando la questione israelo-palestinese con la lente della demografia a lei
tanto cara, si potrebbe dire che il governo israeliano, e persino la destra più
intransigente come quella di Bezalel Smotrich e di Itamar Ben-Gvir, non
sembra avere poi quest’urgenza di annettere la Cisgiordana, i territori occupati
eccetera, perché questo provocherebbe un forte squilibrio demografico, con il
rischio che il “Grande Israele” diventi poi un paese a maggioranza araba. È
corretta questa interpretazione?

“Guardi, dal punto di vista demografico questo già accade, in verità, senza bisogno
di inglobare in Israele la Cisgiordania e tutto il resto. Il fatto dell’annessione è
una fissazione di una grossa fetta del Likud e del cosiddetto partito sionista
religioso Smotrich-Ben-Gvir. Loro non fanno nessun conto demografico, per
loro il problema del rapporto ebrei/palestinesi potrà sussistere, ma è secondario
rispetto ai loro obiettivi…”.
A me sembra che loro non si pongano il problema demografico anche perché in
realtà nella loro politica non c’è quella di annettere i palestinesi ma di mandarli
via, cercare, col sistema degli insediamenti dei coloni a pioggia, di separarli e
poi spingerli via…


“Infatti, alcuni lo sostengono apertamente, Ben-Gvir in particolare lo dice che
vuole farli andare via, altri lo fanno intuire, ma comunque è un piano che – se noi facciamo un passo indietro e guardiamo alla situazione – è un piano folle, è un
piano di autodistruzione di Israele per cui perfino alcuni nel Likud – non so se
oggi la maggioranza o una minoranza, ma comunque una parte del Likud – non lo
sostengono questo piano folle e quindi la percentuale di sostegno finisce per
essere ridotta. Però c’è uno zoccolo duro di circa un terzo, un quarto
dell’elettorato che vorrebbe questa cosa, non si può negare”.

(Sergio Della Pergola)
Ma questo zoccolo duro demograficamente com’è? Ha un basso livello di
istruzione? Ha una sua fisonomia particolare?

“In parte sì, ma non è più così chiaro se si tratta ormai soltanto di una fetta di
elettorato con un basso livello di istruzione, oggi non è più così perché in realtà,
per esempio, i sostenitori di Smotrich sono persone istruite, compresa quella
parte degli ultra ortodossi che sostengono questo progetto. Hanno decine di anni
di istruzione, e se è vero, per esempio, che non sanno la matematica, però sanno
la Bibbia a memoria, quindi hanno studiato a modo loro e quindi è un elettorato demograficamente e sociologicamente trasversale. La loro condizione socioeconomica è trasversale. Io conosco distinti professionisti che sostengono questa cosa, lo stesso Netanyahu del resto è un laureato dell’MIT di Boston, ha un titolo di studio di una delle più prestigiose università del mondo”.
Tornando al fattore della demografia…
“Sì, chiaramente questo progetto, quest’utopia, questo piano di creare la
grande Israele con dentro la West Bank e anche Gaza, perché parliamo anche di
Gaza, vorrebbe dire aggiungere circa 5 milioni di palestinesi e allora se li
mettiamo tutti insieme – secondo i miei calcoli, che sono leggermente diversi da
quelli dell’ONU – avremo circa la metà di ebrei e un po’ più della metà di non
ebrei”.

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Una piccola sopravvenienza di palestinesi quindi?
“Leggermente sì, perché a dire il vero oggi il ritmo di accrescimento dei palestinesi
non è più quello di un tempo. Adesso praticamente la media della natalità, che era
molto alta, è un po’ diminuita. C’è stata una convergenza demografica, ne parlo
nei miei scritti. Vent’anni fa ho pubblicato un lungo saggio in cui prevedevo la
totale fine della maggioranza ebraica e la totale maggioranza palestinese nel
futuro. Oggi, una ventina di anni dopo, ho rettificato le previsioni alla luce dei
dati correnti e ritengo che si vada verso una stabilità, ossia sulle posizioni
acquisite, quindi metà e metà più o meno sull’intero territorio. Per voler
utilizzare lo slogan tanto in voga oggi, “dal Mare al Fiume”, dalla sponda del
Mediterraneo fino alla a sponda del Giordano, il rapporto demografico sarebbe più
o meno metà e metà”.
Ma questo è successo perché più ebrei sono arrivati in Israele, da fuori o per la
variazione delle percentuali di natalità dei vari gruppi?

“Entrambe le cose, ossia, prima di tutto è vero che sono arrivati forse più ebrei del
previsto, anche per le pressioni negative che ci sono fuori. Secondo, la natalità
degli arabi è diminuita e si è quindi praticamente parificata: non proprio, ma
comunque è arrivata a livelli molto simili a quelli della popolazione ebraica. In
passato c’era un enorme divario nella crescita, ma oggi e soprattutto nel futuro il
divario scompare e quindi la crescita è una crescita parallela e di conseguenza i
rapporti di forza non cambiano tanto.
Invece gli ultraortodossi continuano ad alzare molto la media.
“Verissimo. All’interno di questa analisi c’è infatti una sottorubrica, possiamo chiamarla così, che va sottolineata, perché la demografia della parte ebraica in realtà sono due demografie diverse, ossia gli ultraortodossi e tutti gli altri. E allora è proprio grazie all’apporto degli ultraortodossi che la natalità della parte ebraica non è diminuita, anzi è perfino leggermente aumentata e quindi mentre
la parte palestinese diminuiva, la parte ebraica aumentava leggermente. Grazie
agli ultraortodossi fondamentalmente. Questo ha delle conseguenze enormi per
l’equilibrio interno della compagine ebraica, nel senso che nei modelli di
comportamento attuali gli ultraortodossi innanzitutto non fanno il servizio
militare (anche se su questo, come lei ben sa, è in corso una furibonda polemica e
c’è un tentativo di cambiare le cose, ma è molto difficile, è molto complesso). Poi
c’è il fatto che nelle comunità ultraortodosse l’uomo lavora poco, abbiamo dei
tassi di lavoro che non arrivano nemmeno al 50% della forza di lavoro e quindi
chiaramente i redditi sono inferiori, di conseguenza lo Stato deve intervenire
sovvenzionando, per combattere l’evidente povertà. Allora, la parte
ultraortodossa aumenta a dei ritmi tali per cui in prospettiva, entro alcuni
decenni, la parte non superortodossa non sarà più in grado di sovvenzionare
quella parte. C’è una sproporzione tra chi dà e chi riceve. Il rischio è che l’Istituto
Nazionale di Previdenza Sociale in Israele fallisca tout court”.
Quindi possiamo dire che qui in Israele, a livello di welfare, invece di avere il
problema dell’invecchiamento della popolazione che abbiamo noi in Europa e in
Occidente, avete il problema dell’incremento, dello squilibrio tra questi due?

“Proprio così, nell’Israele del futuro, se le cose non cambiano, avremo un paese
quasi senza esercito e con una minoranza che non riesce più a mantenere la
maggioranza. Tutto questo, ovviamente se nulla cambia. Io sono fra coloro che
ritengono che gradualmente ci sarà un cambiamento, ma sarà un cambiamento
graduale, lento, che va pilotato con molta astuzia e capacità politica. Due qualità
che non sempre si notano nella nostra politica, quindi, dal mio punto di vista, la
prognosi è molto precaria. Ed è per questo che, come le dicevo all’inizio della
nostra chiacchierata, la soluzione sarà quella non di due stati, uno israeliano e
uno palestinese, ma a tre stati, con l’autonomia di Gaza rispetto all’Autorità
Nazionale Palestinese. Per Gaza magari, i primi tempi, ci potrà essere un qualche
“protettorato” di un paese Arabo, una sorta di “mandato”, diciamo, ma
comunque, con un futuro autonomo per ognuna di queste tre realtà”.

*Pubblicato sull’Huffington Post il 9 dicembre

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