Intervista del “Mattino” alla zia dei tre bimbi che hanno assistito agli orrori del 7 ottobre

«Sono felice e onorata di essere oggi qui a Napoli, tra le persone sincere amiche del popolo israeliano e che ancora hanno a cuore il destino degli ostaggi che restano nelle mani di Hamas. Per me è la prima volta qui, e sono voluta venire con mio figlio Noam, che ha appena compiuto 13 anni. Questa città è meravigliosa, e ci tornerò sicuramente al più presto». Ella Mor è la zia di Michael e Amalia, di otto e dieci anni, due bimbi del kibbutz di Kfar Aza che la mattina di quel sabato di sangue e orrori commessi dai terroristi di Hamas – il 7 ottobre del 2023 – assistettero all’uccisione brutale dei loro genitori e al rapimento della sorellina Abigail, di soli quattro anni: la bimba è rimasta ostaggio dei palestinesi per oltre due mesi, prima di essere rilasciata. Oggi Ella – una dottoressa che ha una clinica omeopatica nella città antica di Jaffa – gira il mondo per far conoscere le atrocità perpetrate il 7 ottobre del 2023.

All’affollato incontro pubblico che si è tenuto nella Sinagoga di via Cappella Vecchia sono intervenuti, oltre a Sandro Temin e Daniele Coppin della Comunità Ebraica, anche la scrittrice Miriam Rebhun, i presidenti dell’associazione Italia Israele Francesco Lucrezi e Giovanni Bini, il capogruppo della Lega alla Regione, Severino Nappi, il coordinatore di Fratelli d’Italia, Marco Nonno, lo storico Paolo Macry, il giornalista Nico Pirozzi (storico della Shoah) e – in rappresentanza dell’associazione Ad Astra – Sandro Cardano.

(La piccola Abigai, rapita il 7 ottobre a quattro anni dal kibbutz di Kfar Aza)

Signora Mor, se dovesse scegliere una parola per descrivere quello che accadde quel giorno, quale utilizzerebbe? Tragedia, abominio, pogrom?
«Uragano. Perché gli israeliani, quel giorno, sono stati travolti da uno tsunami allucinante. Pensavamo di essere una nazione al sicuro, ci siamo risvegliati in un incubo. Hamas ha mostrato tutto il suo volto bestiale, feroce. L’esercito e il governo israeliano hanno peccato di superbia credendo che ciò che poi è successo non sarebbe mai accaduto. E grosse sono le loro responsabilità».

Come stanno oggi i suoi tre nipotini?
«Il tempo sta lentamente lenendo le ferite. Finalmente. Anche se sarà difficile cancellare dalle loro menti la scena dei genitori massacrati a colpi di kalashnikov. Speriamo che possano tornare a fare bei sogni presto. Ma è proprio Abigail, la piccolina, che sta recuperando meglio».

Per le notizie che ha, quanti sono gli ostaggi nelle mani dei terroristi ancora rimasti in vita?
«Una quarantina, al massimo 50, ma non di più. Ogni giorno che passa il numero diminuisce sempre, quel che rimane dei carcerieri di Hamas stanno compiendo esecuzioni sommarie ogni giorno che passa. E questa è l’angoscia dei loro familiari, non sempre supportati e aiutati dal governo».

E quali sono le prospettive? Dopo oltre un anno di guerra, mentre Israele continua ad essere attaccato su più fronti da più nemici, quali sono le prospettive per arrivare ad una pace?
«Questo non sono in grado di dirlo. So, però, che la ferita lasciata dal 7 ottobre sarà dura dal rimarginarsi. E serviranno, come avvenne per l’Olocausto, almeno due generazioni per liberarsi da queste tossine».

Lei oggi ha fatto sapere che continuerà a rimanere al fianco di chi ancora non ha visto tornare a casa i propri cari.
«Non lascerò le famiglie degli ostaggi. Finché ce ne saranno ancora – e ce ne sono ancora – la mia vita non avrà senso se non al loro fianco».

Napoli è una città che, nonostante profonde divisioni alimentate dopo lo scoppio della guerra a Gaza, ha antichi legami di amicizia con Israele. E anche oggi lo ha dimostrato.
«E di questo ringrazio profondamente i napoletani. Vedete, non c’è nulla di ideologico negli appelli che continuiamo a fare per liberare chi non ha colpe e vive nell’inferno dei tunnel di Gaza. Il grande cuore di una città si vede anche da come risponde a questi appelli».

Tornerà a Napoli?
«Assolutamente sì. Questa volta ho avuto poco tempo per godermi la città, che per molti aspetti è simile alle nostre città di mare. Sì, tornerò, e magari porterò con me i tre nipotini rimasti orfani. Voglio portarli qui e poi andare a Sorrento».

One thought on “Napoli, Ella Mor: “Porto la voce degli ostaggi”

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