Se si dice Francia pensando alle violenze commesse dagli islamici si pensa immediatamente a tre nomi: Charlie Hebdo, Bataclan e Nizza. In realtà c’è molto di più, Oltralpe. Ma per capire le radici dell’odio verso Parigi bisogna ricostruirne le origini.
La comunità islamica in Francia si è costituita soprattutto a partire dal XX° secolo attraverso l’immigrazione da Maghreb, Africa subsahariana e Medio Oriente. Rappresentate oggi tra il 5% e il 10% della popolazione nazionale, quella francese costituisce la più vasta comunità islamica in Europa occidentale. E dunque, alla luce dei fatti, la più pericolosa minaccia. L’islam in Francia è la seconda religione più diffusa nel Paese dopo il cristianesimo. La grande maggioranza dei musulmani in Francia sono sunniti.
Oltre ai musulmani francesi immigrati, vi contano oltre 100mila convertiti francesi; si contano migliaia di conversioni ogni anno. Il dipartimento d’oltremare delle Mayotte ha una popolazione in cui la maggioranza è di fede musulmana.
Nel 2004, durante la presidenza Chirac, la legge sui simboli religiosi nelle scuole pubbliche ha proibito il velo islamico (oltre a crocifissi e alle kippah ebraica). Si voleva impedire che quell’indumento diventasse una forma di rivendicazione dell’integralismo islamico, e anche liberare le ragazze da quella che in molti casi era un’imposizione patriarcale degli uomini di casa, il padre o il fratello maggiore.
Nel 2010, quando era presidente Nicolas Sarkozy, un’altra legge ha proibito di nascondere il volto per strada e in generale negli spazi pubblici: una misura contro il burqa, punito con una multa di 150 euro.
Dal 2012 molti comuni francesi usano ordinanze locali per proibire il burqini, il costume islamico che copre tutto il corpo, in spiaggia e nelle piscine (la battaglia legale continua ancora oggi, i sindaci ogni anno rinnovano le ordinanze, spesso il Consiglio di Stato le boccia).
Nel settembre 2023, con Emmanuel Macron all’Eliseo, ecco il divieto nelle scuole dell’abaya (per le ragazze) e del qamis (per i ragazzi), tuniche islamiche che nel corso degli anni hanno si sono affiancate al velo come segno di appartenenza al mondo arabo-musulmano. Il governo considera questi abiti come bandiere piantate nelle scuole dagli integralisti islamici e dai loro finanziatori in Marocco, Algeria, Turchia, una forma di sfida allo Stato e il segno dell’avanzata dell’Islam. La questione degli indumenti islamici è sempre fonte di tensione: lo scorso 1° marzo, il preside di un liceo di Parigi è stato minacciato di morte sui social media per avere fatto togliere il velo a una ragazza. Gli insegnanti si sentono in prima linea, dopo gli attentati islamisti contro Samuel Paty (decapitato 16 ottobre 2020) e Dominique Bernard (13 ottobre 2023).
Il fiume di sangue causato dagli attentati a Charlie Hebdo e al Bataclan non esauriscono la minaccia jihadista e islamista violenta. Sfortunatamente anche un Paese ben organizzato e consapevole della minaccia come la Francia fa fatica a prevenire attacchi a sorpresa da parte di individui o, al più, di piccolissimi gruppi che colpiscono da soli, senza avere bisogno di piani complessi e di armi sofisticate.
Quali sono le origini della mancata integrazione di almeno una parte dei musulmani francesi? Se consideriamo che i francesi convertiti all’Islam sono circa 100 mila, i musulmani di Francia sono al 99% immigrati o discendenti di immigrati. I francesi originari del mondo arabo-musulmano, più di altri, si sentono discriminati. Ma c’è molto altro dietro l’islamizzazione della “douce France”. Ci sono gli indottrinamenti e la spudorata violenza che parte dalle madrasse di Nordafrica e Medio Oriente. C’è un progressivo e inesorabile abbassamento dell’identità culturale della grandeur francese, e – come sempre – ci sono i cattivi maestri sui quali i vari governi (e relativi servizi segreti) poco hanno vigilato. La Francia è da anni il Paese il più colpito dalla minaccia jihadista in tutto l’Occidente; lo dimostrano, per esempio, il numero degli attacchi realizzati (oltre 30 dal 2014), le dimensioni del suo contingente nazionale di foreign fighters jihadisti (quasi duemila persone), la frequenza del numero di riferimenti al Paese nella propaganda jihadista (in drammatica ulteriore, costante crescita). La radicalizzazione di tanti giovani di fede islamica avviene nelle prigioni, oltre che nelle moschee.
Appare evidente come il nodo del contendere non sia autenticamente religioso, quanto politico. Prendiamo ad esempio la Turchia. Parigi e Ankara si fronteggiano da tempo su campi opposti su vari dossier internazionali, dalla Libia al Mediterraneo orientale. Erdoğan ambisce poi a presentarsi come campione dell’intero Islam sunnita, specialmente in contrapposizione ai rivali sauditi, e nel breve periodo ha presumibilmente l’intenzione di oscurare con le sue esternazioni provocatorie la crisi economica e monetaria in cui versa il suo paese. Naturalmente, Islam politico da un lato, e jihadismo dall’altro, sono – o almeno dovrebbero essere – mondi distinti e lontani. Il primo prospetta l’obiettivo di plasmare gradualmente l’ordine sociale e politico su basi religiose, ufficialmente con mezzi pacifici; il secondo fa invece della violenza sistematica contro “infedeli” e “apostati” musulmani lo strumento essenziale per costruire un nuovo ordine. Nonostante queste indubbie differenze, sarebbe utile considerare se iniziative politiche che alimentano strumentalmente ostilità e risentimenti, come quelle promosse o supportate da alcuni islamisti, non rischino alla fine di danneggiare la convivenza nelle società multireligiose dell’Occidente e non finiscano addirittura per offrire indirettamente opportunità per la propaganda e il proselitismo della causa jihadista.
Ma il “mal francese” rischia di estendersi a tutto il resto d’Europa. Lo dimostra la sintesi fatta in uno degli ultimi vertici dei ministri degli Esteri della UE. Torna a crescere insomma l’allerta terrorismo in Europa, con gli Stati membri dell’Ue ora inquieti per Daesh e una possibile nuova stagione di attentati di matrice islamica. L’allarme c’è, e gli Stati non fanno nulla per nasconderlo. Anzi, lo mettono nero su bianco anche nel comunicato stampa che accompagna la decisione politica di rafforzare la cooperazione nella lotta al terrorismo non solo tra i Ventisette, ma soprattutto con i Paesi terzi.
Ecco il comunicato emesso al termine dei lavori: “Il Consiglio d’Europa nota con grande preoccupazione che la capacità della provincia di Daesh Khorasan (ISKP) di ispirare e condurre operazioni esterne, anche in Europa, sta crescendo“.
Fonti: Wikipedia, Dataroom (Milena Gabbbanelli, Corsera), Ispi, Consiliumeuropa.eu,