di Marco Del Monte
L’attuale guerra che Israele sta combattendo sembra iniziata il 7 ottobre del 2023. Un antiisraeliano (tipo Guterres) ti dice che si deve tener conto del contesto; i più accaniti ripartono dal 1947, anno in cui l’ONU assunse la cervellotica decisione di tracciare con un pennarello verde i confini di due stati su una cartina ammuffita che raffigurava un paese infinitesimo, rispetto ai paesi circostanti.
Era appena finita la Seconda Guerra Mondiale e molti non sapevano dell’esistenza dei campi di sterminio nazisti, altri pensavano che fossero tutti come Terezin (il campo costruito per la C.R.I. senza forni crematori e senza camere a gas. La Croce Rossa Internazionale scrisse infatti una bellissima relazione sul campo in questione, mantenendo il punto anche dopo.
Piccola parentesi: la C.R.I. con gli ebrei è sempre stata come la strega di Biancaneve, nonostante che qualche banchiere ebreo francese (Rotschild) o inglese (Goldsmith) le avessero elargito cospicui finanziamenti.
Nel 1948 gli ebrei gridano al mondo che hanno uno Stato, contemporaneamente scoppia la prima guerra di indipendenza con l’uscita “temporanea dai confini di Israele” degli arabi in attesa che i fratelli musulmani ributtassero a mare gli ebrei.
Dopo settantasei anni qualcuno ha scoperto che nessuno degli Stati che attaccarono Israele lo aveva fatto per amore fraterno, ma perché tutti, indiscriminatamente, non volevano sul proprio territorio né ebrei, né cisgiordani.

(I generali Ariel Sharon, Moshe Dayan e Ytzak Rabin entrano a Gerusalemme)
Faccio notare che nessuno parlava di Gaza né prima, né dopo, né durante, e questo è un punto vitale di cui si deve tenere conto.
Prima di addentrarci nelle differenza tra allora ed oggi vediamo le analogie: nel 1967 il raìs d’Egitto Nasser bloccò l’accesso al Mar Rosso, come stanno facendo gli Houty ora, tutti i paesi circostanti allora entrarono in guerra, (la Siria oggi non partecipa all’accerchiamento militare su Israele solo perché è in disfacimento dopo dieci anni di guerra civile con più di seicentomila morti); allora Israele pareva dover scomparire sul nascere, mentre il 7 ottobre ha subito un colpo quasi esiziale.
Nonostante oggi i fronti siano sette, Israele è considerata il Golia e gli assalitori Davide (nel 1967 era il contrario).
In quell’anno tutti gli stati belligeranti ci tenevano a mettere in mostra la loro forza, per cui (Egitto in testa), schierarono sul campo una potente flotta aerea e un’immensità di blindati a terra: sembrava la fine.
Israele, che secondo l’ONU doveva aspettare il primo colpo per reagire, sferrò invece un attacco preventivo che fece sì che la guerra durasse sei giorni. In realtà l’Egitto e la Giordania capitolarono nei primi due-tre giorni, mentre il resto del tempo servì per espugnare Gerusalemme Est, ma soprattutto per strappare le alture del Golan alla Siria.
Questa guerra lampo scoprì le carte di tutti: Israele era una superpotenza aerea e le armate arabe un gigante di burro.

(Nasser)
A questo conseguì che Israele si dedicasse tutto alla tecnologia (se non sbaglio il primo drone impiegato in azioni di guerra è israeliano, così come le chiavette USB e il raggio laser).
Perfino i servizi segreti affidarono all’elettronica la spina dorsale della propria attività e fu impiegato sempre meno personale sul campo.
Al contrario, i “simpatici vicini” studiavano le guerre della Corea e del Vietnam, sperimentando le tecniche di guerriglia, urbana e non; perfezionavano le armi leggere efficaci nell’affrontare un esercito potente, ma vincolato da regole internazionali che non si applicano ai terroristi.
Aumentarono gli attentati e gli attacchi ai civili, mentre Israele continuava il suo “arricchimento culturale” sulle guerre spaziali.
A dirla così sembra un’esagerazione e invece è la realtà; ancora immersi nell’invincibilità dimostrata nel 1967 è arrivato il sette ottobre e la storia è andata in pezzi.
Nessuno si ricorda più che Gaza è sempre stata un’entità autonoma che poteva diventare uno stato già nel 2005, quando Ariel Sharon, eroe della guerra del 1973, la abbandonò.
Cosa hanno imparato i Gazawi dagli eventi del 1967..? A nascondersi nelle viscere della terra, dopo aver riesumato le tecniche della guerra italo austriaca del 1915-18: lunghe trincee sotterranee, stanze di comando a 80 metri di profondità, costruite usando le migliori tecniche e i migliori materiali sul mercato.
Per colpire questi luoghi occorrono mezzi e doti che Israele ha in minima parte, mentre ormai Gaza ha tre piani sotto terra e uno all’aperto ormai crollato. Basta un soffio di vento a buttare giù edifici in cartongesso e amianto, il più delle volte senza fondazioni profonde, perché il terreno è intasato dalle strutture dei cunicoli.
Questo sarebbe il contesto, cioè una prigione a cielo aperto, dove sono entrati un’infinità di camion ed imbarcazioni per far entrare i materiali necessari alla costruzione della città sotterranea; inoltre quanti bambini sono stati impiegati in questi lavori forzati e quanti ne sono morti.? Né l’ONU, né la C.R.I. né “Medici senza pudore” lo dicono.

E Israele che ha fatto in tutti questi anni…? Ha costruito confini tecnologicamente controllati, ma che a fronte delle difese passive messe in opera dai Gazawi, sembrano reti da pollaio, mentre sempre l’ONU piangeva per il muro che separava Israele dai suoi vicini: allucinante..!
Un’altra cosa non da poco: i detenuti islamici in Israele studiano, imparano l’ebraico, entrano nella nostra mente prima che nei nostri kibbutzìm.
C’è chi sfrutta il tempo a proprio favore e chi lo butta a vantaggio degli altri e, dulcis in fundo, per troppi anni abbiamo parlato della Shoà come se fosse una cosa che ha riguardato solo noi.
Concludo ricordando un famoso detto romano: il pianto frutta e infatti in televisione non fanno vedere altro che “palestinesi piangenti”, come i salici, mentre noi schiena dritta e testa dura…!