Israele, il “Fattore B(iden) e l’importanza della memoria

di Emanuel Segre Amar*

Molte importanti novità ci giungono in questi giorni da Gerusalemme. Se è vero che è compito delle nostre Associazioni informare gli amici, e tutti coloro che sono disposti ad ascoltarci, della realtà di Israele (spesso stravolta dai media) è pur vero che dobbiamo anche analizzarle e commentarle per il meglio, al fine di comprendere la molteplicità delle ragioni sul tavolo.

Partiamo dalla prima notizia: l’Amministrazione Biden ha cercato in tutti i modi di convincere Netanyahu ad accettare una gestione della guerra utile ai suoi interessi elettorali in vista delle oramai vicine elezioni americane, ma pericolosa per il futuro dei cittadini israeliani.

I rapporti di amicizia tra gli stati durano finché gli interessi combaciano: lo si è visto, e richiamiamo soltanto alcuni esempi riguardanti Israele dopo il ‘48, quando l’URSS voltò le spalle a Israele perché più interessata all’amicizia degli stati arabi che combattevano contro l’odiato Occidente, e lo si è rivisto quando De Gaulle bloccò, nel 1967, tutte le vitali forniture militari, comprese quelle già pagate, indispensabili a Israele. L’atteggiamento ostile dell’Europa, a dispetto di formali rapporti di “amicizia”, lo si riscontrò pure quando tutti gli aeroporti del nostro continente rifiutarono l’atterraggio agli aerei americani che dovevano portare vitali forniture militari in Israele, attaccata all’improvviso nella guerra del Kippur.

Israele ha saputo cavarsela sempre, nonostante gli enormi problemi da risolvere, ma non ha sempre saputo fare tesoro dell’esperienza.

(Emanuel Segre Amar)

Oggi, Biden minaccia di bloccare le nuovamente vitali forniture militari, o almeno, di proibirne l’utilizzo qualora Israele attacchi Rafah, se Netanyahu non cede alle sue richieste; conscio del fatto che più di tanto non potrà fare se non vuole perdere una buona fetta del suo elettorato — la maggioranza degli americani è favorevole all’annientamento di Hamas, come Netanyahu ha ricordato pubblicamente a Biden. Israele, nel frattempo, ha dovuto rilanciare la produzione interna di fondamentale materiale bellico, esattamente come il governo dovette fare nel 1967, quando nacque dal nulla la produzione delle alette delle turbine dei Mirage che la Francia non forniva più (e le alette per i jet in seguito Israele le fornì anche alla Boeing).

In secondo luogo, a fronte di un governo Netanyahu avversato dal primo giorno della sua esistenza, Biden ha pensato di poterlo far cadere per sostituirlo con uno nuovo guidato da Gantz, almeno apparentemente più malleabile (Gantz sa benissimo che oggi gli israeliani non sono disposti a fermare la guerra, ma questa è una delle tante verità che gli esperti americani non arrivano a far propria).

Biden, con il suo mentore Obama, che non a caso è sempre vicino alla Casa Bianca, persegue una politica nei confronti di uno Stato amico, che rivendica la propria indipendenza e la presenza d’interessi del tutto opposti a quelli dell’amministrazione DEM. Alla fine devono essere, appunto, gli interessi di Israele a prevalere nelle azioni di un governo democraticamente eletto, divenuto più forte proprio in queste ore, dopo che l’ex Likud Sa’ar ha abbandonato l’alleanza con Gantz e ha chiesto di entrare a far parte della maggioranza governativa e del Gabinetto di Guerra.

Ultima novità, di minore importanza per Netanyahu, ma non per noi italiani, è la decisione dell’Ambasciatore Benny Kashriel, nominato nell’estate 2023 come futuro Ambasciatore in Italia, di rinunciare, a fronte della levata di scudi contro la sua persona, “colpevole” per l’Italia di essere stato per 30 anni sindaco di Ma’ale Adummim, una presunta “colonia” la cui nascita fu voluta nel 1974 da Rabin e che è abitata da quegli odiati “coloni”, quasi tutti semplici funzionari pubblici di sinistra, a volte anche estrema sinistra, non certo nazionalisti fanatici.

Solo il Brasile aveva rifiutato, otto anni fa, di accogliere un ambasciatore nominato dalla Knesset; al contrario nel 2001 il governo Sharon, con Ministro degli Esteri Peres, nominò Ambasciatore di Israele in Danimarca Karmi Gillon che non ricevette le credenziali; Sharon non cedette e lo inviò comunque a Copenhagen, e, dopo pochi mesi, Gillon ricevette le credenziali e divenne ufficialmente il legittimo Ambasciatore di Israele.

In questi giorni, Netanyahu e il suo Ministro degli Esteri Katz hanno problemi ben più seri da affrontare, come la gestione della guerra, i rapporti tesissimi con gli USA e la ricerca di una tregua portata avanti da Washington, Qatar ed Egitto; è comunque opportuno ricordare che dobbiamo far tesoro dell’esperienza del passato: nel 1982 l’allora senatore del Delaware Biden attaccò Begin di fronte alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato; anche allora gli USA minacciavano lo stop delle forniture militari se Israele non avesse accettato le condizioni americane durante la Guerra del Libano.
Begin gli rispose: “non minacciare di tagliarmi gli aiuti, non funziona. Non sono un ebreo con le ginocchia tremanti, ma sono un ebreo orgoglioso dei suoi 3700 anni di storia. Nessuno ci venne in aiuto quando morivamo nelle camere a gas, o quando combattemmo per creare il nostro Stato. Resteremo fedeli ai nostri principi, li difenderemo, e, se necessario, moriremo per quelli, con o senza i vostri aiuti”.

Biden rimase senza parola, ma forse oggi non ha più memoria di quell’episodio.

  • Presidente Gruppo Sionistico Piemontese

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