di Giuseppe Crimaldi
“Israele sta vivendo ore drammatiche, ma anche decisive per il proprio futuro. Lo dico non soltanto pensando alla guerra contro Hamas, ai civili ostaggi e alla risoluzione dell’Onu sul cessate il fuoco, ma anche alle evoluzioni interne della politica nazionale. La Corte Suprema è chiamata in queste ore a sciogliere un nodo gordiano: quello sull’obbligo del servizio militare anche per gli haredim, gli ultraortodossi che fino a oggi sono stati esentati dal servire per l’Esercito nella difesa della nazione. Nelle prossime ore ne sapremo di più, ma il Paese è stanco di questo privilegio riservato loro”. Sergio Della Pergola è professore emerito di Demografia all’Università Ebraica di Gerusalemme, ma è anche uno dei più acuti analisti politici israeliani.
Nato a Trieste in una famiglia ebraica, Sergio è figlio del giornalista Massimo Della Pergola, noto anche per aver inventato la schedina del Totocalcio. Triestino di nascita, nel dicembre del 1943 sfuggì ai rastrellamenti dei nazifascisti, dopo la guerra è cresciuto a Milano e si è trasferito a Gerusalemme nel 1966. In questa intervista esclusiva a Italia Israele Today – che pubblichiamo in due puntate (la seconda uscirà martedì 27 marzo) – affronta la situazione che vivono oggi gli israeliani, tra amarezze, delusioni e speranze, dopo il 7 ottobre.
(Sergio Della Pergola)
– Brucia ancora la decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di lunedì sera, quando al Palazzo di Vetro è passata la risoluzione sul cessate il fuoco, con l’astensione degli Stati Uniti. Adesso che succede?
“La mozione del Consiglio di Sicurezza va letta con attenzione: dice che si deve arrivare al cessate il fuoco nella Striscia e che tutti gli ostaggi israeliani vanno liberati. Io avrei invertito la formula, premettendo la liberazione dei prigionieri nelle mani di Hamas al cessate il fuoco, ma il fatto che per la prima volta si chieda il rilascio di “tutti” gli ostaggi è un fatto nuovo, e molto importante. La trattativa che zoppica in Qatar finora si era fermata a rilasci parziali, l’ultima bozza parlava di 40 ostaggi da liberare. Oggi invece c’è quello che per me è un passo avanti formalmente molto importante. Quanto all’atteggiamento assunto dagli Stati Uniti, siamo di fronte a una decisione politica: l’astensione degli Usa è condizionata dalla campagna elettorale americana, nella quale Joe Biden cerca consensi a sinistra e nell’elettorato musulmano che in alcuni Stati – penso al Michigan – risultano poi decisivi nella conta finale dei voti”.
– C’è il rischio che dopo la decisione americana Israele resti isolata?
“La decisione è anche un messaggio al premier Benjamin Netanyahu, per dirgli: “Attento Bibi, il manico del coltello ce l’abbiamo noi e non tu”. Ma questo è uno schiaffo a Netanyahu, non a Israele. Non sarei catastrofista, e non penso che l’America lascerà Israele da sola”.
– E Netanyahu? Quale sarà il suo futuro, a guerra terminata?
“Netanyahu è arrivato di fronte a un muro. Forse in Italia se ne parla poco, ma qui in Israele in queste ore il tema politico è quello legato all’arruolamento nell’Esercito dei giovani “haredim”. I quali, finora, hanno goduto di uno status privilegiato che ha sempre consentito agli ultraortodossi di essere esonerati dal servizio militare, anche se tale esenzione non è più una legge dal 2018, quando la Corte Suprema ha scelto di annullarla. È su tale questione che gli Haredim rischiano di spaccare il governo”.
– Perché?
“La Corte Suprema israeliana ha dato al governo 24 ore di tempo per chiarire se intenda modificare questo privilegio, fornendo le linee programmatiche in grado di chiarire su come procedere in futuro di fronte a questa palese discriminazione; oppure chiarire i motivi della stessa sperequazione ai danni di migliaia di giovani israeliani chiamati a difendere il Paese”.
– E’ una questione sentita in Israele?
“Molto, e nelle prossime ore vedremo cosa succederà. La gente qui è stanca di giustificare questa esenzione, questo odioso privilegio. Circa 600 ragazzi israeliani sono morti, tra quelli assassinati il 7 ottobre mentre difendevano i confini e quelli caduti in guerra. E ci sono, tra i giovani di Tsahal, più di 3000 feriti gravi, i quali vivranno con amputazioni degli arti o gravissime invalidità. Perché, si chiedono gli israeliani, questi eroi devono essersi immolati anche per difendere il diritto all’esistenza anche degli ultraortodossi? La grande maggioranza degli israeliani è indignata: cosa fate voi haredim, mentre i nostri figli difendono con la vita anche voi?”
E che cosa succederà di fronte all’aut-aut della Corte Suprema?
“Le ipotesi sono due: o in un prossimo futuro anche gli haredim dovranno indossare la divisa di Tsahal; oppure gli scenari diventano imprevedibili: Bibi dovrà procrastinare la sua decisione fra mille contorsioni e forse riuscirà ad avere una proroga dalla Corte ancora per alcuni mesi. Ma la resa dei conti ea questo punto sarà inevitabile.”.
– In che senso?
“Su questo punto nevralgico potrebbe anche cadere il governo. All’interno della maggioranza c’è chi non ne può più dei privilegi riservati agli ultraortodossi. Anche nel Likud ci sono almeno quattro “franchi tiratori” pronti a impallinare Bibi, se non cambierà la legge. E non è un caso se a capitanare questa pattuglia ci sia proprio Yoav Gallant, il ministro della Difesa, che è un ex generale. E c’è anche il potente presidente della Commissione Esteri a sostenere la sua linea. Certo, Bibi ci ha abituati a sempre nuovi giochi di prestigio: ma credo che stavolta gli sarà difficile tirare il coniglio dal cappello”.
(fine prima parte)