Antisemitismo: una rilettura dell’ “Affaire Dreyfus”

di Francesco Lucrezi*
A proposito dell’affare Dreyfus e degli insegnamenti che si possono da esso trarre, appaiono ricorrenti, nei commenti dedicati a tale vicenda, quelli che possono essere giudicati due errori di interpretazione.

Il primo è la considerazione secondo cui dal processo contro il presunto traditore sarebbe inspiegabilmente sorta un’enorme ondata di antisemitismo, nonostante tale fenomeno, nella civile ed evoluta Francia di fine ‘800, apparisse molto marginale. In realtà, non c’è in ciò niente di strano e inspiegabile, perché tale modalità di manifestazione è sempre stata tipica caratteristica dell’odio antigiudaico, un sentimento capace di restare in letargo anche per lunghi periodi, ma sempre pronto a manifestarsi all’improvviso, per un qualsiasi pretesto. I sintomi di una malattia sono una cosa diversa dal morbo, che può restare a lungo nascosto, ma sempre carico della sua malefica energia. La storia offre al riguardo innumerevoli esempi di lunghi sonni e improvvisi risvegli, che non è il caso di riportare.

(Alfred Dreyfus)

Il secondo errore è quello del voler sottolineare il dato dell’innocenza dell’ufficiale francese come elemento importante e qualificante dell’ingiustizia tanto della condanna quanto anche delle sue conseguenze, ossia della mobilitazione, in tutto il Paese, di masse inferocite, urlanti “morte agli Ebrei”. Non solo quella condanna fu ingiusta, ma anche quella mobilitazione sarebbe stata ingiusta, dal momento che Dreyfus era innocente. E, se lui era innocente, lo era quindi anche il popolo ebraico a cui apparteneva.

Un siffatto sillogismo è profondamente sbagliato, perché l’antisemitismo non è legato mai da nessun nesso eziologico, neanche il più lontano, mediato e ipotetico, al concetto di “colpa”. Mai. Ignora completamente la ‘vera’ colpa e ‘innocenza’, per il semplice motivo che è esso stesso a creare, in un modo assolutamente autonomo e referenziale, la colpa che fa finta di usare come causa scatenante. Dire o dimostrare, perciò, che non è vero che gli ebrei hanno ucciso Gesù (o che, al giorno d’oggi, uccidono un’altra tipologia di persone, soprattutto bambini), che fanno i sacrifici del sangue, che sono usurai, bolscevichi, mercanti d’armi, capitalisti ecc. non ha nessun effetto neutralizzante nei confronti dell’antisemitismo, perché questo se ne infischia altamente di tutte queste stupidaggini, è il primo a sapere che sono delle fesserie. Un giornale dell’epoca riferisce un commento molto eloquente formulato, nei giorni del processo, da una signora parigina: “Spero che sia innocente, perché soffrirebbe di più”.

Gli ebrei, agli occhi dell’antisemitismo (ne parlo come una sorte di organismo unico e vivente, perché credo che così debba essere considerato) sono colpevoli quando sono colpevoli, ma lo sono ancora di più quando sono innocenti, dal momento che, con la loro presunta innocenza, contraddicono quella colpa “a prescindere” che l’antisemitismo genera, giorno dopo giorno, minuto come minuto, come una inarrestabile fabbrica di veleno. Un ebreo innocente è un ossimoro e, come tale, dà fastidio.

Un esempio può forse aiutare a meglio comprendere questo concetto. Diversi film e romanzi, di varia qualità, hanno trattato delle gesta della spietata mafia ebraica nell’America degli anni del proibizionismo. I criminali ebrei del capolavoro di Sergio Leone “C’era una volta in America” o dei bei romanzi della “saga di New York” di Antonio Monda sono degli assassini crudeli e feroci, capaci delle più efferate violenze. E rievocano personaggi reali, vicende realmente accadute. In questi casi, la loro ‘colpa’ è vera, innegabile, asseverata nei libri di storia. Ma, proprio per questo, del tutto inutile per l’antisemitismo. Nessuno, guardando quei film o leggendo quei romanzi, ha mai provato neanche l’ombra di un sentimento antisemita. Anzi, al contrario, quei film e quei romanzi hanno fatto provare simpatia per quegli ebrei così “normali”, le cui “colpe” sono assolutamente identiche a quelle dei criminali “normali”.

(Francesco Lucrezi)

L’antisemitismo non vuole una “colpa” vera, ma solo quella “falsa” creata da lui stesso. Si nutre solo di menzogna, che è l’alimento da esso stesso generato, e di nient’altro. Un episodio particolare, narrato da Emanuele Calò nel suo bel libro “La questione ebraica nella società postmoderna” , illustra questa realtà in modo molto illuminante

*(Presidente Associazione Napoli Bezalel”)

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