di Cristina Franco*
Nel pomeriggio di sabato 22 marzo ho deciso di visitare HeArts in Gaza, una mostra itinerante di disegni fatti da presunti bambini di Gaza. Ora, a parte i semplici disegnini, scioccanti sono le didascalie degli stessi e i pannelli che dovrebbero raccontare la “storia della Palestina”.
Bastano pochi esempi per avvedersi della distorsione dei fatti storici e l’inzuppamento ideologico propagandistico. Ed innanzitutto, Israele non è mai citata con il suo nome: ogni didascalia o pannello si riferisce sempre all”entità sionista”. Israele, per chi ha concepito la mostra, così come per Hamas e i suoi volenterosi seguaci in giro per il mondo, non esiste, non deve esistere. Eppure Israele è uno stato di diritto, riconosciuto internazionalmente, ma per chi ha organizzato e collabora nella organizzazione di questa mostra, non è nemmeno menzionabile, non è e non deve essere. E’ la riproposizione del terribile “From the river to the sea”, cioè dal fiume Giordano al Mediterraneo, Israele deve scomparire. Come del resto recita lo stesso Statuto di Hamas, che, al pari del nazismo, ha come obiettivo un mondo “judenrein”, libero da Ebrei, al punto che se l’ultimo Ebreo rimasto in vita si nascondesse dietro un albero o un sasso, quello stesso albero o sasso lo denunceranno e chiameranno per la sua uccisione. Se questo (l’eliminazione fino all’ultimo Ebreo sulla faccia della Terra) non è proposito genocidario allora ditemi cos’è.
Ebbene, la mostra nega l’esistenza di Israele, rifiuta di menzionarlo, lo chiama “entità” come fosse un “essere” con accezione spregiativa, ponendosi in linea con certe indicazioni di propaganda decisamente gravi. Anche l’aggettivo sionista viene usato nell’accezione di “colonialista” “imperialista” per accendere i ben noti risentimenti di una certa parte di opinione pubblica.
Grave è la distorsione dei fatti che si legge sulle tavole dedicate, appunto, alla storia della Palestina. Bastano pochi esempi.
La Dichiarazione Balfour è rappresentata come un atto di pirateria, nessun accenno alla Conferenza e alla Risoluzione di Sanremo del 1920 e al significato del Mandato britannico per la Palestina per conto della Società delle Nazioni (oggi ONU), nessun accenno alla Risoluzione Onu 181/47, nessun accenno al fatto che quel piano di partizione è stato rifiutato dalla parte araba (e viceversa accettato dalla parte ebraica nonostante la drastica riduzione di territorio rispetto a quanto riconosciutole con il Mandato per la Palestina), che i paesi arabi, dopo aver rifiutato il piano di partizione per la creazione di uno stato arabo palestinese, abbiano dichiarato guerra nel maggio 1948 al neonato Stato di Israele (5 contro 1), nessun accenno al fatto che il Regno di Giordania come conseguenza di quella guerra abbia occupato militarmente quella che ora è chiamata Cisgiordania (e che si chiama più correttamente Giudea e Samaria), e l’Egitto abbia occupato militarmente la Striscia di Gaza e così sino al 1967 e nessuno abbia mai accusato il Regno di Giordania o l’Egitto in quasi 20 anni di essere potenze occupanti o colonialiste ai danni dei Palestinesi (mentre l’accusa rispetto alla stessa area è immediatamente scattata quando nel 1967 con la guerra dei 6 giorni la Cisgiordania e la Striscia di Gaza passarono sotto controllo di Israele).
A parte le solite ritrite mistificazioni delle conseguenze di una guerra voluta soltanto dai paesi arabi contro Israele, per cui la Nakba è narrata come una tragedia palestinese mentre mai si dice che bastava non dichiarare guerra a Israele, bastava non credere alla narrazione dei leaders arabi in quel momento sulla sicura vittoria contro Israele, bastava scegliere, come in effetti hanno fatto molti arabi, di restare in Israele e scegliere di diventarne cittadini a tutti gli effetti, con un passaporto israeliano e pari diritti, tant’è che gli oltre 2milioni di arabi israeliani cittadini a pari titolo di Israele sono i discendenti di coloro che scelsero di restare in Israele e non invece di andare a fare i profughi i altri paesi arabi confinanti dove vengono (sic!) trattati da allora come indesiderati e non si è mai cercato di integrarli. La Nakba è stata quindi in gran parte voluta dagli stessi arabi, ma anche effetto di una guerra e credo non vi sia stata guerra senza spostamento di popolazioni. Ovviamente, nessun accenno nei pannelli della mostra al fatto che in conseguenza di quella stessa guerra oltre 800mila Ebrei sono stati cacciati dai paesi arabi, e si sono visti costretti a trasferirsi in altre parti del mondo, per esempio in Italia, dove hanno ricostruito una vita. Questo infinito piagnisteo su conseguenze, sicuramente drammatiche, di una guerra voluta solo e soltanto dai paesi arabi, è unico e proprio della narrativa vittimistica palestinese. La Seconda guerra mondiale ha costretto milioni di persone a lasciare le proprie case e i propri paesi, sotto la spinta di fame, eserciti, persecuzioni. Case a cui non sono, se non in pochi casi, mai tornati. Basti pensare all’esodo giuliano dalmata, alle popolazioni della Polonia, agli stessi Ebrei sopravvissuti alla Shoah che in troppi casi si sono visti negato il diritto di tornare a casa propria. Le guerre da sempre cambiano confini e spostano masse di gente, però ciascuna di quelle popolazioni si è reinsediata, si è rimboccata le maniche, è divenuta parte integrante e sostanziale del tessuto sociale, culturale ed economico di un’altra parte del mondo. Il piagnisteo sulla Nakba, che sicuramente è stata una tragedia (ma a cui non si sarebbe arrivati se, ripeto, 5 paesi arabi avessero accettato già nel 1947 la partizione dei territori per la famosa soluzione due popoli due stati) non aiuta nemmeno i Palestinesi a uscire dalla condizione di profughi, un piagnisteo che qualcuno coltiva da sempre per mantenere viva la rabbia verso gli Ebrei, che serve soltanto alla causa del terrorismo e di certe organizzazioni internazionali che su quel piagnisteo quasi centenario hanno costruito la ragion d’essere e patrimoni.
Per tornare alle tavole sulla storia della Palestina, anche la Guerra dei 6 giorni viene imputata esclusivamente a Israele come conseguenza di un suo “attacco preventivo” sull’Egitto. Nessun accenno a quella che era la situazione sul campo: Nasser, il presidente egiziano, prima mobilita le proprie forze armate (14 maggio) e poi intima alla forza di interposizione Onu (che dopo la crisi del 1956 fungeva da cuscinetto tra Egitto e Israele) di abbandonare le posizioni nella penisola del Sinai (18 maggio). Il 22 maggio Nasser si spinge oltre ed interdisce alle navi israeliane lo stretto di Tyran, che chiude il golfo di Aqaba, il braccio più orientale del Mar Rosso, nonostante Israele avesse già avvertito che un simile gesto sarebbe stato considerato un casus belli. Infine il 30 maggio Nasser si incontra con il re di Giordania che pone le sue forze sotto il comando egiziano, un’alleanza cui aderisce anche l’Iraq. Tutto ciò avveniva in un contesto in cui lo stesso Nasser e gli altri leader arabi minacciavano Israele di distruzione, promettendo un nuovo Olocausto. Ed ancora, mentre sino a maggio di quell’anno 1967 il ministro della difesa israeliano Dayan dichiarava di confidare in una chiamata dai paesi arabi confinanti con una proposta di negoziato per la pace, i paesi della Lega Araba a Kartoum adottavano la famosa Dichiarazione dei 3 NO (NO alla pace con Israele, NO a negoziati con Israele e NO al riconoscimento di Israele) anticipando l’imminente conflitto. Fu poi tutto un susseguirsi di chiamate di Nasser alle armi, di minacce, di urla nelle piazze del Cairo per la distruzione di Israele, sino all’ottobre del 1967 quando un missile egiziano uccide 47 israeliani sino allo scoppio delle ostilità.
Nessun accenno, quando nelle tavole si parla di “occupazione”, agli accordi di pace fra Israele e Giordania nel 1994 e prima con l’Egitto nel 1979 che portarono Israele a restituire all’Egitto, per esempio, tutto il Sinai sino ad allora occupato. Una parte di storia che non piace agli organizzatori della mostra perché nuoce gravemente alla rappresentazione di un Israele che vuole solo ad ogni costo occupare, che coltiva soltanto un presunto sogno colonialista e che mai sceglierebbe una soluzione di pace.
Anche l’Intifada è rappresentata dagli organizzatori non già come un susseguirsi di accoltellamenti di civili israeliani innocenti alle fermate del bus, nei loro letti (inclusi molti neonati), locali notturni, ristoranti e bus affollati di gente comune fatti saltare in aria. No, viene rappresentata come azioni di dovuta resistenza. Terribile. Come si fa a negare in modo così spaventoso le atrocità dell’Intifada dei coltelli, come si fa a presentare come resistenza l’aver macellato centinaia di ragazzini con una bomba in una discoteca, o intere famiglie sgozzate nel sonno? Eppure questa mostra è destinata anche ai bambini (del resto si parte da disegnini di bambini); e cosa potrebbero percepire i bambini che vanno vedere la mostra? Che esiste un motivo legittimo che giustifica la caccia di bambini, famiglie, ragazzini alle fermate del bus e scegliere di infilare una bomba sotto il sedile di un bus o un coltello nel collo? No, l’Intifada è stata solo terrorismo contro civili e non è giustificabile mai e poi mai.
Ultimo esempio di grave distorsione orientata della realtà. Molte didascalie ai disegni di bambini recitano che i bambini di Gaza sino al 6 ottobre erano felici a giocare nei loro giardini con tanti amichetti e tutto questo è finito il 7 ottobre!!! Il 7 ottobre?? Ma il 7 ottobre, fra il giubilo generale della popolazione di Gaza, erano i bambini israeliani a cessare di giocare felici nei loro giardini con i loro amichetti e anche con le loro famiglie e i loro animali domestici! Il 7 ottobre 2023 è stata un’immensa carneficina di bambini israeliani per mano dei terroristi di Hamas insieme a tantissimi civili della striscia di Gaza, mentre a Gaza si distribuivano caramelle ai bambini per la gioia del massacro! Ciò che è pure documentato dai molti filmati messi in rete dalla stessa Hamas. Il 7 ottobre 2023 è stato una tragedia solo e soltanto per i bambini israeliani. Eppure anche uno dei pannelli della “storia della Palestina” propone il 7 ottobre come tragedia palestinese e non israeliana. Incredibile! Distorcere questo dato è un’enormità imperdonabile, negare o silenziare ciò che è successo il 7 ottobre 2023 ed anzi, arrivare ad attribuirselo come una tragedia propria è quanto di più insano possa esserci. Negare o silenziare il massacro il 7 ottobre 2023 di migliaia di innocenti israeliani compiuto da Hamas e il rapimento di centinaia di altri innocenti fra i quali molti bambini (e ancora oggi ci sono 59 ostaggi israeliani a Gaza) è come negare la Shoah, ha la stessa identica valenza e lo stesso obiettivo.
Annotazione a margine: i responsabili della mostra fanno dire ai bambini che prima della guerra la vita a Gaza era felice, libera, fra piscine e pranzi e pizze: rappresentazione che mal si concilia con l’altra, tirata fuori all’occorrenza, della prigione a cielo aperto, del campo di concentramento. Non mi risulta che nelle prigioni e soprattutto nei campi di concentramento la via sia libera e felice, si mangiasse pizza e altre leccornie e si andasse in piscina o ai pranzi con gli amici. In base alle necessità del momento, la narrativa palestinese dei fatti cambia.
Quanto alle foto di “bambini palestinesi negli anni 90” a me sono sembrate in maggior parte foto di bambini delle comunità beduine del Negev.
Non vado oltre. Spiace che questa mostra che usa disegni di bambini innocenti per un’operazione propagandistica incommentabile sia stata ospitata dal Comune di Celle Ligure nella sala consiliare. Forse chi ha autorizzato ed addirittura concesso patrocinio non conosce il contenuto e l’obiettivo della mostra, lo speriamo. E comunque nel sabato pomeriggio di apertura della mostra al pubblico, il pubblico è stato esclusivamente formato dagli organizzatori, pochi loro amici e da me.
*Presidente Associazione di Savona
Speriamo che il comune di celle vorrà ospitare anche la mostra cento per cento inferno sul massacro del 7 ottobre . Vogliamo provare a chiederglielo ?