
di Francesco Speroni.
Non è la prima volta che la guerra produce immagini forti, selezionate e decontestualizzate, capaci di orientare l’opinione pubblica in modo violento e superficiale. Ma ciò che accade in questi mesi, con la diffusione sistematica di accuse a senso unico contro Israele, va ben oltre l’indignazione per gli orrori di un conflitto. Si assiste a una narrazione tossica che trasforma ogni errore, ogni atto discusso o discutibile dell’esercito israeliano, in prova di una presunta crudeltà intrinseca. È una forma moderna e pericolosa di antisemitismo: non più basata su dogmi religiosi o teorie del complotto, ma su un’idea sotterranea e insinuante, secondo cui gli ebrei – e in particolare gli israeliani – sarebbero ontologicamente spietati.
Il recente caso delle ambulanze nella Striscia di Gaza è emblematico. Si è gridato allo scandalo, si è parlato di attacchi deliberati contro mezzi di soccorso, come se l’obiettivo fosse annientare i feriti e i soccorritori. Ma ciò che si dimentica – o si finge di non sapere – è che da decenni quei mezzi sono stati usati dai palestinesi, in violazione di ogni convenzione internazionale, per trasportare armi, miliziani e kamikaze. Non è un’accusa generica: è un fatto storico, documentato persino da fonti europee. E mentre si può e si deve discutere della proporzionalità dell’uso della forza o dell’errore tragico che può portare a colpire un’ambulanza sospetta, ciò che non si può accettare è la trasformazione del dubbio in una colpa assoluta, e della colpa in una condanna razziale. Questo è antisemitismo, sotto mentite spoglie.
In queste ultime ore, alcune testate e canali online hanno diffuso la notizia, supportata da immagini filmate – secondo la quale l’esercito israeliano ha attaccato dei mezzi di soccorso nella Striscia di Gaza. Quelle immagini, che colpiscono lo spettatore, vengono subito presentate come la conferma definitiva di un’accusa insinuata da tempo: Israele colpirebbe volontariamente i più vulnerabili, i feriti, i soccorritori. È l’ennesimo tassello di una narrazione costruita con sapienza mediatica, dove l’israeliano appare come un carnefice spietato e il palestinese come vittima inerme.
Ma la realtà, come spesso accade nei conflitti, è ben più complessa e meno fotogenica. Fin dai tempi della prima Intifada, è stato ampiamente documentato l’uso sistematico delle ambulanze da parte di gruppi terroristici palestinesi per trasportare armi, esplosivi, miliziani, kamikaze o per attraversare indisturbati i posti di blocco. Questa pratica, che costituisce una gravissima violazione del diritto internazionale, ha costretto Israele a rivedere le proprie regole d’ingaggio, anche a costo di scelte difficili e impopolari.
Sparare su un’ambulanza è e resta un errore, se non si è accertato che rappresenti un pericolo concreto. Ma in guerra esiste una zona grigia, dove le decisioni devono essere prese in pochi secondi e sulla base di informazioni parziali. E ciò che viene sistematicamente ignorato nel racconto pubblico è proprio questo: che ciò che altrove verrebbe considerato un tragico errore operativo, nel caso israeliano viene trasformato in prova di una ferocia intrinseca, quasi fosse una pulsione naturale. Questo non è solo un pregiudizio: è odio mascherato da indignazione.

L’antisionismo militante, che si finge analisi politica o difesa dei diritti umani, si nutre proprio di queste narrazioni unilaterali. Non chiede giustizia, ma vendetta. Non cerca verità, ma simboli: e l’israeliano diventa il capro espiatorio perfetto, il volto moderno di un odio antico che cambia maschera ma non sostanza. Colui che nel Medioevo veniva accusato di avvelenare i pozzi, oggi viene descritto come colui che bombarda le ambulanze “perché è nella sua natura”.
Chi alimenta questo racconto non combatte per la pace: lavora, consapevolmente o no, per la perpetuazione dell’odio. L’antisemitismo non si manifesta soltanto nelle scritte sui muri, nelle aggressioni fisiche o nella profanazione dei luoghi sacri. Si insinua anche nei giudizi sbilanciati, nel modo in cui si selezionano le notizie, nell’uso strategico delle immagini per evocare un’unica parte come disumana. È questa asimmetria morale, non militare, il vero scandalo del nostro tempo.
Riconoscere la complessità non significa giustificare tutto. Ma rifiutare la semplificazione manichea, quella che dipinge un intero popolo come mostro, è oggi un dovere. Perché quando si comincia a credere che alcuni esseri umani siano meno umani di altri, la storia ci insegna sempre come va a finire.
Finalmente riesco a leggere una analisi interessante dell’ amico Francesco , considerazioni che dovrebbero fare riflettere molti personaggi …
Analisi seria e misurata , di fronte alla sistematica disumanizzazione degli ebrei per mano di una narrativa prezzolata e antisemita .
Grazie a Francesco Speroni coordinatore per la Verislia della Associazione Apuana Amici Italia Israele
Grazie. Almeno una voce lucida, seppur molto isolata, contro il massacro mediatico, magistralmente orchestrato da Hamas, che sta subendo Israele in tutti i media, in tutto il mondo. Anche le testate più autorevoli, BBC. Corriere della sera, CNN., cadono nella trappola! Forse volontariamente? Spero di no!